Leggiamo la Bibbia con Simone Paganini – In quale lingua è stata scritta la versione originale della Bibbia?

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Mosé di Michelangelo, San Pietro in Vincoli, Roma, CommonsWikimedia

L’Antico Testamento è originariamente redatto in ebraico, una delle lingue scritte più antiche del mondo. Le prime testimonianze, seppur con un alfabeto diverso da quella usato nei testi biblici, risalgono a quasi 5.000 anni fa.

-di Simone Paganini

L’alfabeto ebraico usato nella Bibbia si è sviluppato a partire dalle 22 lettere dell’alfabeto fenicio diffusosi nel bacino del Mediterraneo nel corso del secondo millennio a.C. Questo sistema fa derivare la forma delle singole lettere da immagini, alle quali veniva associato il suono iniziale della parola raffigurata. La lettera ebraica beth, ad esempio, viene pronunciata con il suono “b” e ha la forma di una bayit – ovvero in ebraico di una casa – girata di 90 gradi verso destra. Scritto da destra a sinistra, questo alfabeto conosce solo segni per esprimere le consonanti, le vocali venivano solo lette. A partire dalle medesime consonanti quindi, mediante l’aggiunta di vocali diverse si possono ottenere differenti parole. Questo ha fatto sì che la lingua ebraica avesse sin dall’inizio caratteristiche di una lingua simbolica, per iniziati, dove il vero significato dei termini poteva essere nascosto dietro a lettere diverse. Oltre a questo ogni lettera aveva anche un valore numerico, così ogni parola poteva essere sostituita da un numero. Nel Medioevo si svilupperà all’interno della mistica ebraica, la kabbala, un ramo speciale detto gematria, con lo scopo centrale di cercare di riconoscere il codice numerico del testo biblico, capace di spiegare i segreti del cosmo e di far conoscere gli avvenimenti futuri. Naturalmente questo codice non è ancora stato trovato, ma anche senza perdersi in teorie su possibili codificazioni esoteriche del testo biblico, l’ebraico è una lingua non semplice da comprendere correttamente per i lettori moderni.

Fino a quando l’ebraico fu una lingua parlata – con l’avvento dell’impero persiano e quindi della colonizzazione ellenistica l’ebraico fu sostituito prima dall’aramaico e poi dal greco, restando in uso solo come lingua delle liturgie religiose – la possibilità di esprimere, o meglio, di evocare, nuove parole e concetti mediante minimi cambiamenti della vocalizzazione rappresentava un elemento non solo interessante, ma anche molto particolare. Nel momento in cui l’ebraico cessò quindi di essere una lingua viva si vide la necessità – proprio al fine di rendere univoco un testo che altrimenti poteva dare adito ad interpretazioni di carattere differente – di inventare un sistema di vocali indispensabile per pronunciare correttamente il testo consonantico.

La necessità di introdurre un sistema di vocali

Tra i diversi sistemi che iniziarono a svilupparsi venne ufficializzato il cosiddetto sistema masoretico. Mediante l’introduzione di un sistema di punti e lineette sopra, sotto e all’interno del testo consonantico si riusciva a identificare e produrre le cinque vocali necessarie alla lettura e a identificarne la lunghezza – brevi, semibrevi, lunghe.

Un’altra importante particolarità dell’ebraico antico sono le forme verbali. A differenza ad esempio dell’italiano, l’ebraico non ha un sistema verbale di tipo temporale – secondo il quale il verbo identifica il momento in cui si svolge un’azione: presente, passato, futuro – ma un sistema verbale che identifica l’aspetto del verbo.

La caratteristica dei verbi

L’ebraico differenzia quindi solo due tipi di azioni: le azioni concluse e le azioni non concluse. Che queste azioni si svolgano nel presente, nel passato o nel futuro dipende fondamentalmente dal contesto letterario, ma anche sociale e culturale in cui si interpreta il testo. Per comprendere il significato di una profezia o di una visione, ma anche di un racconto non è infatti indifferente sapere se questa cerca di prevedere il futuro, di descrivere il presente o di raccontare il passato… Per questo anche la più semplice traduzione è da subito un’attività interpretativa. Dalla mela di Eva, all’arcobaleno dopo il diluvio fino alla vergine che concepirà, o forse ha già partorito, un figlio nel libro del profeta Isaia o ai cattivi unicorni nel libro dei Salmi, le traduzioni della Bibbia sono piene di testi tradotti tenendo poco conto della versione ebraica originale. Un problema che inizia già nell’antichità e continua fino ad oggi.