Comunità, volto vivo della Chiesa

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Mons. Peter Birkhofer è vescovo ausiliare nell’arcidiocesi di Friburgo in Brisgovia ed è membro della XIV commissione della Conferenza episcopale tedesca, quella della migrazione. Ha partecipato al Convegno nazionale della Delegazione MCI Lontano da casa, essere a casa. Ovunque tu vada la Chiesa è con te“ che si è tenuto lo scorso ottobre a Palermo. È intervenuto nella giornata di convegno dedicata al dialogo con la Chiesa tedesca. Molto gentilmente ha messo a disposizione per la pubblicazione il suo intervento. Le domande, la moderazione e la traduzione, sono state curate da Paola Colombo. Pur parlando fluentemente italiano ha preferito interloquire in lingua tedesca.

  • Udep (Ufficio documentazione e pastorale)

Ridisegnare la territorialità delle parrocchie, la tendenza a togliere la missio cum cura animarum alle comunità di altra madrelingua, nel contempo l’aumento in percentuale dei cattolici senza passaporto tedesco, a fronte di tutto ciò come sta cambiando nelle diocesi in Germania e anche nella conferenza episcopale la percezione delle comunità di altra madrelingua nella chiesa tedesca?

Nell’arcidiocesi di Friburgo le oltre 1.000 parrocchie esistenti verranno sciolte come entità giuridiche e fuse per formare 36 nuove parrocchie. La parrocchia è il livello strutturale e amministrativo. D’ora in poi chiameremo comunità le parrocchie precedenti. Le comunità sono il volto vivo della Chiesa sul territorio. Finora le comunità di altra madrelingua hanno avuto un’esistenza di nicchia nel tessuto parrocchiale esistente. Tuttavia, a fronte delle misure di risparmio che sostanzialmente tutte le diocesi stanno affrontando, sta diventando sempre più chiaro che dobbiamo avvicinarci. In questo modo anche le missioni ricevono maggiore attenzione e sono più strettamente integrate nella vita parrocchiale. Le missioni potranno finalmente essere percepite da noi come Chiesa universale ed essere maggiormente integrate nella vita di comunità.

In futuro, le missioni avranno lo stesso livello di attenzione di una comunità tedesca nella nuova parrocchia. Il missionario riceverà la procura per il territorio di missione, che interessa in parte più parrocchie, il che corrisponde a una missio cum cura animarum. Spero che ci sarà un’unione più forte, un atteggiamento che riconosca e prenda sul serio i diversi carismi delle diverse comunità e che alla fine renderà anche le nostre parrocchie più interattive e più attrarrive. E in ultimo ma non meno importante, grazie a un maggiore coinvolgimento delle missioni le parrocchie potranno anche parlare in modo molto più credibile di integrazione, migrazione, rifugiati e così via e avere un impatto diverso sulla società.

Come può allora la Chiesa tedesca favorire l’interculturalità, la reciprocità tra le comunità di lingua tedesca e quelle di altra madrelingua?

Innanzitutto è una questione di atteggiamento: non esiste uno stile di vita ecclesiale perfetto, ci sono solo persone diverse che vivono la propria fede in modi diversi e qui ci sono momenti e opportunità per imparare gli uni dagli altri e per modellare la comunità e la Chiesa in modo tale che siano interessanti, soprattutto per i più giovani, concentrandosi sulla comunità fornita da Cristo, e non perseguendo freneticamente questioni politiche. La strada dovrebbe essere quella, come è stato programmaticamente descritto dal Concilio Vaticano II, di “interpretare i segni dei tempi”. Siamo una comunità di credenti e, partendo da questa base, esaminiamo come possiamo essere lievito nel mondo.

Ma ciò significa anche che dobbiamo prima concordarci su come vogliamo vivere e lavorare come Chiesa e comunità interculturale. Solo così potremo volgerci in modo credibile verso l’ambiente spesso laico dell’Europa. È un po’ come per l’ecumenismo: finché ci sono ancora diverse confessioni che pensano tutte di dover parlare solo per sé, il messaggio cristiano perde di plausibilità. È quindi necessario lo scambio tra le diverse missioni di altra madrelingua ed è necessario il dialogo con le comunità di lingua tedesca nella parrocchia e oltre.

Spesso il problema è che l’uniformità semplicemente mette a tacere la voce delle missioni, contrapponendo una presunta maggioranza a una presunta minoranza. Ma in realtà accade il contrario: spesso le missioni crescono mentre le nostre comunità “tradizionali” si assottigliano. Ciò che serve, allora, è un processo di camminare insieme, di evangelizzazione e scambio. Così può avvenire uno intreccio effettivo e reciproco, che, come da noi richiesto, verifica il tutto e conserva il meglio, ma con l’obiettivo di crescere insieme in un’unica Chiesa, un’unica comunità.

La carenza di sacerdoti è una realtà. Il numero di seminaristi in Europa sta diminuendo più o meno drasticamente dappertutto. Nelle comunità, anche in quelle italiane, arrivano sacerdoti da molto lontano. Ci sono esempi meravigliosi di accoglienza e di comunione, ma anche comunità dove ci sono conflitti ed enormi differenze di mentalità che si manifestano anche nei rapporti con il personale assunto laico, in particolare con le donne. Che fare?

Innanzitutto vorrei sottolineare che al Synodale Weg c’erano solo due rappresentanti delle missioni di altra madrelingua, cioè solo circa l’1% dei sinodali, cosa che a mio avviso non riflette la realtà in Germania. L’interculturalità è un’opportunità: se posso sperimentare e imparare attraverso lo scambio perché atteggiamenti o mentalità differiscono, allora posso anche capire perché qualcuno affronti la questione delle donne nella Chiesa in modo diverso. Oppure ha una tradizione diversa dalla mia quando si tratta di questioni di fede. Non si tratta però di avere ragione – cosa che purtroppo spesso si è notato nel cammino sinodale – ma piuttosto di come possiamo realizzare insieme la Chiesa in modo tale che questa Chiesa annunci la buona novella di Cristo. Questo è innanzitutto amore. Questo tuttavia non significa ancora che si possa fare tutto, perché abbiamo visto come gli abusi sessuali e spirituali hanno causato grandi sofferenze alle persone, con la falsa pretesa di annunciare e condividere la buona novella.

Questa consapevolezza porta ad un’attenzione rispettosa tra comunità, preti e laici, uomini e donne, senza uniformarsi vicendevolmente. Abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione in cui possiamo parlare dei nostri punti di vista e anche dei nostri sentimenti. Ma deve anche essere chiaro che occorre qualcosa di più ampio delle emozioni, perché altrimenti non riusciamo ad avvicinarci perché di emozioni non si può discutere. È possibile discutere invece su argomenti, punti di vista, tradizioni, conoscenze ed esperienze. Dobbiamo trarne le giuste conclusioni. Ma anche questo richiede un atteggiamento di ricettività interiore: se qualcuno, in questo processo, crede di essere completamente nella ragione, in realtà rifiuta di prendere parte al processo. Non c’è apertura all’opera dello Spirito Santo. Dobbiamo, perdonatemi se la metto così, rimanere toccabili per la voce del vicino, l’altro. Solo così può avvenire una trasformazione, un cambiamento, una santificazione della quotidianità e della vita. Solo così possiamo sviluppare forza irraggiante e allo stesso tempo riuscire a chiarificare le nostre differenze. In questo modo si mostra che siamo sorelle e fratelli di Gesù Cristo, figli dell’unico Padre che è nei cieli, uno in Cristo (Gal 3).


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L’universalità del cattolicesimo è oggi maggiormente messa alla prova dalla sfida dell’inculturazione?

No, cattolicità significa proprio abbracciare tradizioni e opinioni diverse. Naturalmente ci sono alcuni fondamenti incrollabili della nostra fede. Questi sono stati stabiliti, ad esempio, nei Concilii. Se l’intera Chiesa universale ora concorda sulla necessità di fare alcuni ulteriori sviluppi, allora va bene ed è espressione dell’opera dello Spirito Santo, che ci accompagna fino alla venuta di Cristo nel tempo chiliastico.

L’inculturazione ha plasmato il cristianesimo fin dalle sue origini perché Cristo è venuto agli uomini e alle donne e quindi anche la fede deve essere portata loro. Ma ciò non vuol dire annacquare il messaggio né introdurre strettoie che mettano la propria fede contro l’altra. Si tratta piuttosto di essere, come credenti, in costante relazione come la stessa Trinità. Ci sono tanti cammini di fede quante sono le persone. Perché spesso siamo così arroganti e pensiamo di avere quello migliore, l’unico giusto? Questo è ciò che l’idea universale di fondo del cattolicesimo vuole superare. In essa l’unità può essere vissuta in ogni diversità. È una differenza riconciliata, non competitiva. Cattolico è unità nelle diverse lingue, culture, origini, mentalità e molto altro ancora. Nonostante la diversità, vi sperimentiamo un’unità che supera i confini e unisce le persone a modo proprio.

Tuttavia, anche questa è una sfida, perché non esiste una certezza definitiva nel vero senso della parola. Ma come può esserci certezza di fronte in un discorso su Dio, nella teologia, quando dobbiamo sempre mettere sottolineare l’onnipotenza e la grandezza di Dio, che ci viene messa davanti agli occhi nei Salmi, così ricchi nel linguaggio e pieni di immagini?

Come garantire le diverse sensibilità religiose senza rischiare la deriva verso Chiese parallele?

Una teologa protestante una volta mi chiese se tra noi cattolici ci sono così tante divisioni e fondazioni di nuove chiese. Le risposi che i cattolici restano sotto il tetto della Chiesa cattolica. Spesso i carismi hanno trovato posto nella fondazione di nuove congregazioni spirituali. L’essere cattolico non si esprime in Chiese parallele ma dovrebbe sempre far parte di un continuo processo di negoziazione. Abbiamo tante opportunità di vivere la nostra fede insieme, ma anche separatamente gli uni dagli altri. Molte persone in Germania e in Europa non sono nemmeno consapevoli di questo dono: non dobbiamo nasconderci, non dobbiamo preoccuparci di essere uccisi perché pratichiamo la nostra fede, abbiamo molta libertà. Noi stessi spesso limitiamo questa libertà perché abbiamo l’errata convinzione di dover dire agli altri cosa è cattolico e cosa non lo è. L’opposto conduce all’obiettivo di una maggiore unità con grande indipendenza: abbiamo bisogno di pregare, parlare e agire insieme, ma anche di momenti isolati di preghiera, conversazione e azione.

Per me, tuttavia, l’aspetto più rilevante è il numero sempre più esiguo di cattolici nelle parrocchie tedesche che si sono messe un po’ troppo a loro agio, appoggiandosi ai soldi delle entrate fiscali. Solo in comunione possiamo solo fare qualcosa per la Chiesa nel suo insieme, solo nella relazione con gli altri la mia particolare identità cattolica può arricchire gli altri e io posso essere arricchito. Ciò a volte può portare ad una reazione di rifiuto perché non riflette la mia idea di vivere la fede, ma dobbiamo continuare a parlarci. La nuova parrocchia con le tante comunità può diventare davvero luogo dove si vivono i diversi carismi, espressioni di un’unica fede in lingue e tradizioni diverse. Queste comunità si arricchiscono a vicenda e si rafforzano nella testimonianza e nel dialogo con il mondo.

Al tempo stesso posso capire che anche gli immigrati italiani e/o i loro figli e nipoti vogliano preservare un pezzo della propria identità. Come comunità tedesca dovrei riconoscere questo bisogno e assolutamente preservarlo come segno di diversità, di cattolicità. Tuttavia è necessaria un’idea complessiva di come io, come parrocchia o comunità in un paese o in una città, voglia parlare della fede cristiana sia internamente che esternamente.

Lo scorso anno (febbraio 2023) A Friburgo è stata aperta, riaperta una comunità di lingua italiana. Molti sono stati gli attori che hanno concorso a questo risultato per le persone di lingua italiana. Molti dei credenti che frequentano la comunità sono giovani famiglie immigrate in Germania, ma ci sono anche giovani nati in Germania i quali hanno un forte attaccamento alla lingua delle loro origine. Conoscendo queste realtà complesse, che tipo di collaborazione è auspicabile tra le due conferenze episcopali, tedesca e italiana?

Innanzitutto, il Cammino sinodale in Germania e la sua percezione all’estero mi hanno fatto capire che abbiamo fondamentalmente bisogno di più dialogo che travalichi i confini. Abbiamo bisogno di più incontri faccia a faccia, cuore a cuore. Dobbiamo lasciarci trasportare dalle esperienze degli altri e dobbiamo lasciare che gli altri condividano i nostri pensieri e le nostre esperienze. E condividere significa ascoltarsi a vicenda e agire di conseguenza.

Sarebbero sicuramente necessari ulteriori accordi, soprattutto considerando il problema che le comunità di altra madrelingua dovrebbero essere guidate da un prete madrelingua. Altrimenti è strano: come posso parlare apertamente e onestamente con le persone se non posso almeno condividere un po’ delle loro riserve, esperienze e desideri? Questo è esattamente ciò che ci mostra la fede cristiana e ciò che la rende così forte: Cristo è stato un essere umano come noi, ha sperimentato le nostre profondità più recondite, fino alla morte, e così ci ha redenti. Questa forma di partecipazione personale ed esistenziale è importante.

Le risposte le dobbiamo trovare qui, vista la carenza di preti anche in Italia. Forse alcuni sacerdoti italo-tedeschi potrebbero essere formati parte in Germania e parte in Italia e poi essere inseriti nelle missioni? Ma questo deve essere importante anche per la Conferenza episcopale italiana.