Il futuro delle nostre comunità: „communio“, non integrazione

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Eucarestia, ©Pixabay

Sull’importante Convegno svoltosi a gennaio dedicato al futuro alle comunità cattoliche di altra madrelingua “Prospettive di una Communio viva e ecclesiale di molte lingue e nazioni” riportiamo le considerazioni di alcuni partecipanti: di padre Tobia Bassanelli, Delegato, delle MCI in Germania e Scandinavia, di Isabella Vergata, rappresentante della Commissione direttiva e del Consiglio dei cattolici d’altra madre lingua della diocesi di Magonza, di Theresa Kucher, che si occupa di concezione pastorale della diocesi di Rottenburg/Stuttgart.

Il Convegno di gennaio è una tappa per arrivare a rinnovare le linee guida della pastorale delle comunità di madrelingua, che coinvolge quindi il rapporto con le comunità territoriali, nella consapevolezza che vada superato il dualismo, la polarizzazione fra “comunità tedesca” da una parte e comunità di altra madrelingua dall’altra pur nel salvaguardare le identità e peculiarità delle comunità. L’obiettivo di questo appuntamento e dei prossimi (p.e. Jahrestagung der Ausländerseelsorge, il Convegno annuale sulla pastorale degli stranieri) è arrivare a una concezione che favorisca la conoscenza reciproca, l’ascolto e il dialogo, il rapportarsi fra pari, l’andare oltre alla mentalità che vede da una parte l’ospite – la comunità di altra madre lingua – e l’ospitante – la comunità tedesca per diventare una comunione (Communio) di credenti di molte lingue e nazioni, appunto, la Chiesa in Germania.

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Padre Tobia Bassanelli, Delegato: “Parlare di communio è un passo in avanti”

La buona partecipazione (oltre 60 iscritti, da tutte le diocesi), il molto lavoro in piccoli gruppi (permettendo a tutti di presentarsi e di prendere la parola), i risultati più importanti dei gruppi fissati in testi concisi, hanno permesso a questo convegno online (10-11 gennaio) della XIV Commissione della DBK, organizzato dal Nationaldirektor, Lukas Schreiber, di dare un apporto qualificato ai processi di ristrutturazione pastorale in corso nella Chiesa in Germania. Per i tanti addetti ai lavori (delegati e referenti diocesani), certi temi erano sicuramente non nuovi.

Se avrà un buon seguito e nei modi più adeguati, potrà contribuire in modo determinante a promuovere una maggiore valorizzazione delle Comunità d’altra madre lingua e a migliorare la “communio” tra tutte le realtà ecclesiali.

Il fatto che già nel titolo “Perspektiven einer lebendigen kirchlichen Communio aus vielen Sprachen und Nationen” non si parli più di integrazione ma di “comunione”, è un passo in avanti e un segno positivo. Certo, non bisogna illudersi. È chiaro che tra gli addetti ai lavori, dove il dialogo e gli incontri sono regolari, da tempo si è creata una buona collaborazione. Con tante parrocchie e altre realtà ecclesiali non è così. Lo ha ricordato anche il vescovo Heße nelle sue riflessioni conclusive. Penso che abbattere i pregiudizi reciproci e i muri che ci sono nelle teste, sarà un cammino ancora molto lungo.


Isabella Vergata: “Le comunità di altra madrelingua sono ancora prese in considerazione marginalmente”

Il convegno è stato una tappa riuscita di un progetto che va nella giusta direzione, sia per il vivace scambio, il bel modo di essere stati insieme e per i proficui impulsi. Come aveva detto giustamente l’arcivescovo Stefan Heße, presidente della XIV Commissione della Conferenza episcopale tedesca, le comunità di altra madre lingua stanno troppo spesso al margine. Personalmente aggiungerei che le comunità di altra madrelingua in realtà sono dentro la Chiesa in Germania e sono presenti ma nell’immagine che si ha della chiesa cattolica in Germania sono percepite troppo raramente e per questo motivo talvolta sono citate solo di sfuggita, e sono coinvolte e prese in considerazione marginalmente.

Noi tutti vogliamo lavorare per una “communio” di molte lingue e paesi ma ciò che spesso viene detto in teoria, fallisce purtroppo nella prassi. E qui non parlo di una strada a senso unico. La Chiesa non dovrebbe essere una strada a senso unico. E neanche la vita di comunità. Le comunità territoriali tedesche e anche le comunità di altra madrelingua dovrebbero avere gli stessi diritti e doveri, conoscerli, farsi garanti di questi e lavorarci.

Isabella Vergata ©Archivio privato

Lo scopo del Convegno era di lavorare insieme alle prospettive della “Communio”. Ci sono state inizialmente tre relazioni e personalmente mi sono identificata con le parole del prof Salvatore Loiero da Friburgo (Svizzera) per quanto riguarda la collaborazione e lo stare insieme fra le comunità cattoliche locali e quelle di altra madrelingua. Troppo spesso infatti questo essere insieme si traduce “nel suggerire il diritto di aver parte (Teilhabe), ma si concede solo quello di prendere parte (Teilnahme)”.

Anche la contrapposizione fra ospite e ospitante (Gast, Gastgeber) mi ha colpito molto:

Come giovane donna in terza e quarta generazione in Germania, questa frase mi dà da pensare. Gli ospiti sono da molto diventati ospitanti e gli ospitanti dovrebbero mettersi anche una volta nei panni dell’ospite.

 
In un lavoro di gruppo poi, una partecipante ha detto: “non dovremmo parlare di ospite e ospitanti ma di persone nella fede”

Il professor Bernd Hillebrand ha poi parlato di costruttori di ponti e ha aggiunto: “Più rapporto alla pari e meno stato di ospiti”. Occorre, così Hillebrand, una “pastorale ibrida” e non una pastorale speciale. Personalmente ritengo tuttavia che occorra una pastorale speciale e che le comunità di altra madrelingua necessitino di una pastorale specifica, di una pastorale nella loro lingua, celebrazioni liturgiche nella loro lingua, eccetera. Il terzo impulso del delegato, parroco Michael Wilkosz, e del delegato, parroco Ferrán Jarabo Carbonell dicava di una chiesa tedesca in Germania con diverse radici. Voglio dire chiaramente che non condivido questa affermazione e desidero indicare un’altra prospettiva.

Noi non siamo chiesa tedesca, noi siamo chiesa in Germania.

Questo l’ho messo in risalto durante il convegno e fortunatamente ha trovato molti consensi.
Non dovrebbe esserci una chiesa nazionale ma un gioco di squadra e un confluire di diversi carismi e doni in un grande tutto, che è appunto la Chiesa. Una Chiesa di diverse lingue e popoli, un’idea effettivamente molto semplice. Per me e per la mia fede si tratta di vivere e di sapere vissuta la “unità nella pluralità” e porterò avanti gli impulsi del Convegno negli altri gruppi e sedute di cui sono parte. Continuiamo quindi a lavorare insieme a una variopinta Chiesa in Germania.


Theresa Kucher: „Realizzare la partecipazione autentica“

Theresa Kucher, responsabile della pastorale interculturale è soddisfatta di come è andato il Convegno?

Non vedevamo l’ora di fare il convegno in presenza a Bensberg, anche se tanti non avrebbero potuto prendere due giorni liberi per parteciparvi.  L’evento online ha visto una partecipazione numerosa e varia, con anche diversi vescovi ausiliari, capi di dipartimento, referenti diocesani. Qualche giorno fa abbiamo fatto una valutazione dell’evento e ci siamo detti che i risultati sono stati molto buoni e abbiamo lavorato in modo molto efficiente nei piccoli gruppi.

Quali impulsi sono emersi nel Convegno che secondo Lei sono nuovi e che possono affermarsi in futuro?

Secondo me il professor Salvatore Loiero ha tenuto un bellissimo discorso che va dagli sviluppi sociali per arrivare fino alla pastorale interculturale ed è stato importante per me mettere in discussione come poter davvero rendere possibile la partecipazione, l’aver parte (Teilhabe) e uscire da questa pseudo partecipazione. Questo non è nuovo per me, ma lui lo ha messo in luce in poche parole, e vale non solo per la chiesa cattolica, ma anche per la politica o altre istituzioni. Quando persone non si sentono considerate sviluppano più forti paure che portano a una ancora maggiore divisione all’interno della società. A partire da queste considerazioni Loiero ha mostrato come potrebbe essere una società partecipativa, dove veramente ciascuno, migrante o non migrante venga considerato come persona come componente importante della società, della Chiesa. Solo allora sarà possibile realizzare la partecipazione e non più questo concedere solo di prender parte (Teilnahme).

Si è parlato molto durante il Convegno di Communio, di Chiesa IN Germania, di migliorare la comunicazione, di ascolto, di competenza interculturale, di quello che diceva sopra Teilhabe e non Teilnahme (aver parte e non prender parte). Queste parole sono significative per tutti anche alla base, ossia alle comunità tutte e a chi lavora è in servizio presso le comunità?

Penso che dove le persone si incontrino e possano sviluppare un vero interesse reciproco allora c’è spazio per la “teilhabe”; questa resta invece una dichiarazione vuota se per esempio la DBK ci esorta a realizzare questa partecipazione ma poi non succede nulla alla base.

Siamo tutti chiamati nelle nostre aree di lavoro a ricordarlo, a creare occasioni di incontro, è questo il primo passo, incontrarsi umanamente, chiedersi “chi sto incontrando” e poi riflettere su quali sono le somiglianze fra noi.

Su questa linea possiamo lavorare insieme, attraverso ciò che ci unisce e non solo mettere in luce le differenze. Le differenze vanno bene e sono importanti ma, lo sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, sono spesso eccessivamente enfatizzate, soprattutto sullo sfondo di queste paure. Penso veramente che possiamo liberarci delle paure se ciascuno si impegna in questo e se ricordiamo costantemente alle persone che la riuscita dipende da questo.

Certamente si tratta di un lavoro continuo, ma il modello della diocesi Rottenburg/Stuttgart, dove le comunità di altra madrelingua non sono parrocchie a sé stanti ma sono inserite nelle comunità territoriali locali, è un modello esportabile?

Molti colleghi me lo chiedono e sono anche in contatto con alcuni di loro; alcuni dicono che è un modello impensabile in altre diocesi e che è quindi inconcepibile ma credo perché partono da un diverso fondamento. Per esempio nell’arcidiocesi di Colonia, mi diceva Ingbert Mühe, della pastorale cattolica internazionale, la considerazione e l’apprezzamento nei confronti delle comunità di altra madrelingua si manifesta non nel fare rete alla base, ma dall’alto in un diretto contatto con la diocesi. Mentre per la diocesi di Rottenburg/Stuttgart le comunità di altra madrelingua sono in rete con quelle locali, e sono anche in un network con la pastorale tedesca. Quindi non si può generalizzare, su quale modello sia migliore, ma tutti possono imparare gli uni dagli altri.

Siamo fermamente convinti che l’incontro e la pastorale avvengano sul posto, dove vivono le persone e dove vanno a lavorare. Va detto che in Germania molte diocesi non possono più mantenere questo o non vogliono più mantenere questo stile. Siamo fortunati che per il nostro vescovo voglia vicinanza, che si coltivino i rapporti a livello locale e personale, nella vicinanza e nella prossimità umana e questa idea vale anche per le comunità di altra madrelingua. Quindi non decanati o missioni come una volta, ma una prossimità perché solo se ci si conosce personalmente si può avere veramente contatto umano.

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