Presepe, vangelo domestico. 800 anni di presepe

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02In questi giorni, in vista del Natale, molti si apprestano ad allestire il presepe. E quest’tanno questo gesto assume un valore particolare, in quanto ricorrono 800 anni da quando, nel dicembre del 1223, a Greccio, a Francesco di Assisi venne l’idea di allestire il primo presepe della storia, dopo che aveva ricevuto dal Papa Onorio III la conferma della sua Regola. Francesco voleva che il presepe fosse un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione.

Pubblichiamo per gentile concessione della redazione di Stato Quotidiano e dell’autore la recensione al libro di papa Francesco Il mio presepe.

  • di Michele Illiceto

Lo ricorda Papa Francesco in un suo libro che esce in questi giorni dal titolo: “Il mio presepeVi racconto i personaggi del Natale” (Piemme 2023, ediz. ebook).

A partire dai personaggi, il Papa invita a scoprire il significato più profondo e intimo di quell’avvenimento senza tempo: l’amore di Dio che si offre a ogni essere umano nella piccolezza, nella povertà, nella tenerezza di un bambino. Lo scopo è aiutare a cogliere «l’appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi» (p. 30).

Il presepe, afferma il pontefice, «è un Vangelo domestico» (p. 33) che permette a Dio di farsi vicino e di entrare nei posti dove si vive: «nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e di ritrovo, negli ospedali e nelle case di cura, nelle carceri e nelle piazze». Il presepe ci ricorda anche l’importanza della famiglia: «come culla di vita e di fede; luogo di amore accogliente, di dialogo, di perdono, di solidarietà fraterna e di gioia condivisa, sorgente di pace per tutta l’umanità» (p. 46).

Il presepe è anche un invito a fermarsi e dare un senso nuovo alle nostre sterili abitudini. «Nei ritmi frenetici di oggi è un invito alla contemplazione. Ci ricorda l’importanza di fermarci. Perché solo quando sappiamo raccoglierci possiamo accogliere ciò che conta nella vita» (p. 34).

Nel presepe troviamo un elogio della piccolezza: ciò che è grande diventa piccolo e ciò che è piccolo diventa grande. «Dio non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza. La piccolezza è la via che ha scelto per raggiungerci, per toccarci il cuore, per salvarci e riportarci a quello che conta» (p. 38). Ecco la sfida di Natale: «Dio si rivela, ma gli uomini non lo capiscono. Lui si fa piccolo agli occhi del mondo e noi continuiamo a ricercare la grandezza secondo il mondo, magari persino in nome suo. Dio si abbassa e noi vogliamo salire sul piedistallo. L’Altissimo indica l’umiltà e noi pretendiamo di apparire. Dio va in cerca dei pastori, degli invisibili, noi cerchiamo visibilità, farci vedere. Gesù nasce per servire e noi passiamo gli anni a inseguire il successo. Dio non ricerca forza e potere, domanda tenerezza e piccolezza interiore» (p. 40).

Perciò, via ogni mania di grandezza e di potere! Il presepe è luogo di deponenza e non luogo di onnipotenza. «Se nel Natale Dio si rivela non come uno che sta in alto e che domina l’universo, ma come Colui che si abbassa, discende sulla terra piccolo e povero, significa che per essere simili a Lui noi non dobbiamo metterci al di sopra degli altri, ma anzi abbassarci, metterci al servizio, farci piccoli con i piccoli e poveri con i poveri» (p. 58).

Il presepe allora è liberante perché ci fa fare pace con le nostre fragilità e i nostri limiti, ci libera dal desiderio di accarezzare forme deliranti di onnipotenza. Ci libera dalla invidia e dalla gelosia, perchè ci aiuta a lasciarci alle spalle «i rimpianti per la grandezza che non abbiamo» (p. 41). Non bisogna avere paura di ciò che si è, della piccolezza che ci caratterizza, perché «la piccolezza è la strada per incontrare Dio» (p. 12). «La tua piccolezza non mi spaventa, le tue fragilità non mi inquietano. Mi sono fatto piccolo per te. Per essere il tuo Dio sono diventato tuo fratello. Fratello amato, sorella amata, non avere paura di me, ma ritrova in me la tua grandezza» (p. 42).

Ma il presepe ha anche una dimensione sociale di fraternità, perché accogliere la piccolezza significa «abbracciare Gesù nei piccoli di oggi. Amarlo, cioè, negli ultimi, servirlo nei poveri. Sono loro i più simili a Gesù, nato povero» (p. 43). Infatti, continua Bergoglio, «Dio è nato bambino per spingerci ad avere cura degli altri. Il suo tenero pianto ci fa capire quanto sono inutili tanti nostri capricci; e ne abbiamo tanti! Il suo amore disarmato e disarmante ci ricorda che il tempo che abbiamo non serve a piangerci addosso, ma a consolare le lacrime di chi soffre» (p. 49).

E il papa attualizza il Natale quando dice che «Oggi, mentre sul mondo soffiano venti di guerra e un modello di sviluppo ormai superato continua a produrre degrado umano, sociale e ambientale, il Natale ci richiama al segno del Bambino, e a riconoscerlo nei volti dei bambini, specialmente di quelli per i quali non c’è posto nell’alloggio» (p. 71). Non si tratta pietismo o buonismo, ma solo di rispetto della dignità di ogni uomo, specie di chi è più debole, dei bambini i cui diritti sono garantiti dalla Carta dei diritti dell’ONU.

Il presepe è anche esperienza della gratuità di un amore che non meritiamo. Infatti, «al di sotto delle nostre qualità e dei nostri difetti, più forte delle ferite e dei fallimenti del passato, delle paure e dell’inquietudine per il futuro, c’è questa verità: siamo figli amati. E l’amore di Dio per noi non dipende e non dipenderà mai da noi: è amore gratuito. Tutto è grazia. Il dono è gratuito, senza merito di ognuno di noi, pura grazia. Niente è più prezioso» (p. 48). Con l’incarnazione Dio si fa come noi e sta tra noi. «Dio prende dimora vicino a noi, povero e bisognoso, per dirci che servendo i poveri ameremo Lui. Dopo la notte di Natale, come scrisse la poetessa E. Dickinson, «la residenza di Dio è accanto alla mia. L’arredo è l’amore» (p. 49)».

Ma il presepe è anche esperienza della bellezza perduta. Infatti, sottolinea il pontefice, «Grazia è sinonimo di bellezza. Nella bellezza dell’amore di Dio, riscopriamo pure la nostra bellezza, perché siamo gli amati da Dio. Nel bene e nel male, nella salute e nella malattia, felici o tristi, ai suoi occhi appariamo belli: non per quel che facciamo, ma per quello che siamo. C’è in noi una bellezza indelebile, intangibile, una bellezza insopprimibile che è il nucleo del nostro essere» (p. 79).

Poi il papa passa ad analizzare la figura di Maria e di Giuseppe.

Per quanto riguarda Maria, in lei il pontefice esalta la figura della donna. Infatti, commentando la frase paolina Nato da donna, rive Bergoglio sottolinea che «La rinascita dell’umanità è cominciata dalla donna. Le donne sono fonti di vita. Eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità» (p. 101).

Infine, la figura di Giuseppe. Di lui si dice che era un “uomo giusto”. Uno che, per fare il bene e per obbedire alla volontà di Dio, è disposto anche alla rinuncia radicale (p. 113). Egli, infatti, sperimenta il dramma interiore di chi rinuncia a Maria senza farle del male. Altro che i femminicidi di oggi! Egli, dice il papa, è l’uomo della cura, il custode sia del bambino che della madre (p. 119 e ssgg). «L’uomo fedele e giusto che ha preferito credere al Signore invece di ascoltare le voci del dubbio e dell’orgoglio umano» (p. 116).

Ma Giuseppe è anche l’uomo dei sogni. «Noi pure abbiamo i nostri sogni, e forse a Natale ci pensiamo di più, ne parliamo insieme. Magari rimpiangiamo alcuni sogni infranti e vediamo che le migliori attese devono spesso confrontarsi con situazioni inattese, sconcertanti. E quando questo accade, Giuseppe ci indica la via: non bisogna cedere a sentimenti negativi, come la rabbia e la chiusura, questa è la via sbagliata! Occorre invece accogliere le sorprese, le sorprese della vita, anche le crisi, con un’attenzione: che quando si è in crisi non bisogna scegliere di fretta secondo l’istinto, ma lasciarsi passare al setaccio, come ha fatto Giuseppe, senza cedere alla chiusura, alla rabbia e alla paura, ma tenendo aperta la porta a Dio. Lui è esperto nel trasformare le crisi in sogni» (p. 118).

A una cultura che sembra spenta e scoraggiata, incapace a rinascere, il presepe oggi si ripropone come un luogo di ripartenza e di rinascita. Ci dice che «la nascita è sempre fonte di speranza, è vita che sboccia, è promessa di futuro» (p. 44). Proprio così: Futuro. La parola che ci manca!

E allora: buon Presepe a tutti!