Conversazione con Michele Illiceto. È uscito recentemente per Andrea Pacilli Editore “All’ombra delle Tue ali per una mistica postmoderna. In dialogo con Dio in un mondo senza Dio” (508 pp.) di Michele Illiceto, filosofo, docente, anche di scuola superiore, e nostro collaboratore.
Non teme che un volume così imponente possa scoraggiare la lettura?
Questo libro non è nato come un libro rivolto al pubblico. L’ho cominciato a scrivere per me, come una specie di taccuino esistenziale o di diario interiore. Mi trovavo in ospedale, costretto a stare tre mesi per un problema al cuore. Mi sono trovato solo con me stesso. Solo con Lui. Solo senza di Lui. Spero che tanti, leggendo queste pagine, possano cominciare a cercare se stessi sul serio. E che, cercandosi, inciampino in Dio. Si, perché Dio non lo si incontra. In Dio si inciampa.
Il titolo è composto da un’immagine forte, più la parola “mistica” legata a un aggettivo che viene dalla filosofia. Per chi non è avvezzo a muoversi in questi ambiti come spiega il titolo?
Il libro parte dal fatto che la crisi del nostro tempo è una crisi di natura spirituale legata al venire meno, nell’uomo, dello spazio dell’interiorità intesa come luogo nel quale poter fare i conti con tutte quelle domande mute che ci portiamo dentro. In un mondo dove tutto è fruibile, mercificabile, a portata di mano, a mancare è lo spazio mistico, spazio in cui le cose nascono senza di noi, senza che noi ne possiamo diventare padroni. Luogo dove ognuno incontra l’alterità indisponibile della realtà che si fa traccia di un Dio che si è ritirato. Questo spazio manca anche a molti credenti ridotti ormai a consumatori di riti diventati vuoti e difensori di dogmi che non scaldano più il cuore.
Il sottotitolo parla di un mondo senza Dio, il nostro, quello contemporaneo. Già oltre un secolo fa un grande filosofo tedesco, Nietzsche, diceva che Dio è morto. Che cosa significa? Forse è morta una certa idea di Dio, quale?
Nel libro utilizzo molto i filosofi atei per parlare di Dio. Faccio riferimenti a Feuerbach e a Marx, Nietzsche, Freud, Camus, Sartre, Cioran. Dal mio punto di vista, il loro non è un ateismo spicciolo, ma serio, molto serio. Una sorta di misticismo ateo, nel senso che negano Dio, ma poi, in fondo, lo cercano. Per loro, il Dio che cercavano era molto più in alto del Dio che non hanno trovato. La sentenza “Dio è morto” di Nietzsche si rivolge contro una idea sbagliata di Dio inteso come fondamento metafisico e punto di appoggio protettivo e rassicurante, come norma morale rigidamente imposta con lo scopo di limitare la libertà dell’uomo. Il libro è proprio una risposta al nichilismo contemporaneo, che al “deserto tragico” di Nietzsche ha sostituito il “deserto apatico” menzionato ultimamente dal filosofo G. Lipovetsky che parla di “era del vuoto”. Il Dio biblico, invece, non è un Dio che protegge, ma un Dio che a volte ti abbandona, come ha fatto col Figlio.
Lo stile del suo scritto è un flusso, una concatenazione di pensieri né assertori, né deduttivi, ma è un movimento a spirale che va in profondità per poi riprendere da un altro punto. Il testo sembra solcare le vie delle Confessioni di Sant’Agostino? Perché?
Sulla scia del grande padre Agostino, il libro cerca di mettere insieme due percorsi che si intrecciano in modo inestricabile tra di loro: ricerca di Dio e ricerca dell’uomo. Ricerca interiore del proprio sé e ricerca dell’Altro da sé. E per farlo utilizzo il motto agostiniano che dice “Non uscire fuori di te, rientra in te stesso. La verità abita nell’uomo interiore. E se scopri che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Lì vi troverai, per quanto ti è possibile, Dio“. Ad esso affianco anche S. Teresa d’Avila alla quale Dio ebbe a dire “Cercati in me e cercaMi in te”. Solo che nessuno può trovare se stesso se non trova Dio che di questo me stesso è l’autore misterioso. Ed è per questo che alla fine c’è un colpo di scena: scopro che mentre pensavo di essere io a cercare Dio era Lui a cercare me. Mi scopro doppiamente cercante (cerco me e cerco Lui) e doppiamente cercato (da me e da Lui).
Chi sono gli altri pensatori, mistici, che affiorano nel suo testo e che cosa Le danno?
Ci sono mistici medievali, come il grande Meister Eckhart, dal quale ho mutuato l’idea secondo cui a Dio non bisogna attaccarsi né abituarsi, che bisogna perdere Dio per ritrovarlo. Poi c’è il Deus absconditus di Nicolò Cusano, un Dio incommensurabile e incatturabile. Poi ci sono i mistici del ‘500, come la grande Teresa d’Avila che paragona l’anima del credente a un grande “Castello interiore” fatto di tante stanze da attraversare, metafora ripresa da Edith Stein che la utilizza per arginare la visione postmoderna che intende l’io come un labirinto nel quale siamo come “gettati” (Martin Heidegger) e “incapsulati” (Jean-Paul Sartre). Da S. Giovanni della Croce ho preso l’esperienza molto travagliata ma feconda della “Notte oscura” per liberarsi dal proprio io ed entrare in comunione con Dio. Ma penso anche alla mistica insita nella filosofia di Søren Kierkegaard che parla della fede come paradosso, al cristianesimo della grazia di Simone Weil ma anche della dimensione poietica della fede di Maria Zambrano. Insomma, nel libro Dio viene presentato più come una domanda che come una risposta, più come un deserto da attraversare che come una pianura in cui sostare. Un Dio che non è solo Tabor luminoso, dove tutto diventa chiaro e comprensibile, ma anche Golgota, luogo oscuro dell’ora nona, dove solo la logica dell’amore ti permette di restare.
Da un’altra tradizione, penso alla teologa protestante Dorothee Sölle (Mystik und Widerstand), viene l’associazione fra mistica e resistenza, fra mistica e agire nel mondo. Anche per Lei la mistica è il trampolino per abitare il mondo e agire nel mondo nella pienezza?
Grazie per questa bella domanda. Io penso a una mistica per le strade. Una mistica che è sì contemplazione ma anche azione. Bisogna superare la dicotomia tra momento contemplativo e prassi. È il problema di molti credenti oggi: sono immersi nel fare ma non sanno essere mistici, oppure molti si rifugiano in un intimismo religioso e spiritualistico, disincarnato, per cui poi non sanno incidere sul loro tempo e nei propri ambienti. Al contrario, come diceva il vescovo di Molfetta, mons. Tonino Bello, bisogna saper essere “conteplAttivi”. La mistica è uno stile di vita che anche i laici possono vivere nel mentre trattano le cose temporali del mondo con tre atteggiamenti: il distacco, la condivisione e la cura. In questa ottica la mistica è resistenza, nel senso che resisti anche a Dio, il quale, a volte, sembra faccia di tutto per farti smettere di credere. Solo allora capisci che la fede non è sapere che Dio c’è, ma è lottare con Dio (come Giacobbe) per non far morire Dio dentro di te, come ci ha insegnato la grande scrittrice ebrea Etty Hillesum. La fede mistica è quella che, come ci ha insegnato Dietrich Bonhoeffer, in un mondo senza Dio, tu resti solo con Dio. Solo anche senza Dio. Credi in Dio anche se Dio non ti dà una mano. (pc)