Spesso il male ci scoraggia con la sua potenza e appare invincibile, quasi avesse l’ultima parola su tutto sulle decisioni sugli eventi e sulle nostre scelte. A volte ci affascina perché ci consegna nelle mani un potere che di norma non avremmo. Per questo di solito possono scattare in molti di noi forme di emulazione, imitandolo ed esacerbandolo, nelle nostre piccole e banali situazioni.
– di Michele Illiceto –
L’unica arma che abbiamo contro il male è la nostra ragione, la quale se usata bene, cioè in modo retto se secondo verità di coscienza, diventa, come diceva Aristotele, una buona guida per le scelte giuste ispirate all’equilibrio e al rispetto.
Il male, in tutte le sue forme, lo si combatte solo con l’educazione e la formazione. Per tale motivo per le nuove generazioni celebrare questa giornata della memoria è importante. Non per commuoverci ma per impegnarci e schierarci ogni giorno dalla parte del bene, seguendo l’esempio di quanti hanno lottato e resistito, anche morendo, all’urto devastante della follia umana. Una di queste è certamente Etty Hillesum, che ci ha insegnato a respirare il profumo dell’amore per la vita proprio nel cuore della notte del mondo. Ci ha insegnato che, in ogni circostanza, si può essere come un gelsomino che, nonostante la pioggia, ancora ha la forza di fiorire.
Etty ci insegna ad accettare il dolore senza tuttavia rassegnarsi. Sperimentare la potenza del male e continuare a credere nella forza del bene. Non però un bene astratto, ridotto a pura categoria etica e filosofica, ma un bene che si fa appello e che chiede alla tua coscienza, alla tua libertà e alla tua responsabilità da che parte stare. Un bene che prende la forma dei volti che, silenziosi, ti guardano nel mentre ti chiedono di non passare oltre. Perché, come dice il filosofo Levinas, sui volti sta scritto il più grande comandamento di sempre:“Non uccidere!”
Nella sua esperienza tragica, vissuta prima a Westerbork e poi ad Auschwitz, dove ha trovato la morte, Etty ha compreso che il mondo e la storia passano attraverso le piccole scelte che ognuno di noi compie quotidianamente e che, sommate a quelle degli altri, decidono le sorti di un’epoca, di un paese, di una città, di una nazione intera. Siamo affidati a noi stessi e un frammento di tempo e di storia ci è consegnato per decidere che cosa farne, se schierarci dalla parte del bene o del male: “Sono affidata a me stessa e dovrò cavarmela da sola. L’unica norma che hai sei tu stessa, lo ripeto sempre. E l’unica responsabilità che puoi assumerti nella vita è la tua. Ma devi assumertela pienamente”.
Ognuno è l’insieme delle scelte che compie. Scelte che decidono sia di noi che degli altri. Etty ci insegna a non temere le contraddizioni. Anzi, sostiene che “la vita è composta di contraddizioni, che vanno accettate tutte come sue parti integranti, e che non si può accentuarne una a spese di un’altra”.
Etty non ha cercato di salvarsi. Sapeva che non avrebbe potuto farlo. E allora, piuttosto che salvare se stessa, e piangersi addosso per un destino crudele, da innocente ha deciso di salvare noi che dopo di lei saremmo venuti senza aver visto l’orrore che invece lei, insieme ad altri milioni di ebrei, ha visto.
Ha deciso si salvare quel pezzo di umanità che in lei ancora voleva elevarsi all’altezza della propria dignità, contro un nazismo che, al contrario, stava cercando di annientare e annichilire. E lo ha fatto consegnandoci un compito: non soccombere al male nelle piccole cose per impedire che poi cresca e si faccia imponente nelle grandi cose.
La forza più grande del male non è quando colpisce – forse già troppo tardi – ma quando lentamente e silenziosamente, cresce, con la scusa della paura, sotto il manto della nostra indifferenza e della nostra apatia e nel segreto delle nostre piccole scelte sbagliate. Perché la forza del male è direttamente proporzionale al sonno in cui versano le coscienze degli uomini. Non per nulla qualcuno ha scritto che “Il sonno della ragione genera mostri”. E il male diventa la passione dominante quando le altre passioni diventano tristi.
Senza riparo, Etty si è fatta lei stessa riparo. E la sera, tra i fili spinati del campo che già puzzava di fumo e si copriva di ceneri umane, riusciva sempre a trovare un cantuccio in cui ritirarsi, per poter attingere la forza di continuare a credere ancora in quel bene che invece appariva debole, offeso e non creduto, calpestato e vilipeso. Deriso.
Questo cantuccio era il suo mondo interiore, spazio immenso e sacro, dove nessuna violenza sarebbe mai potuta entrare. È qui che ha posto gli argini al dilagare di una possibile rassegnazione. Era convinta che “bisogna ascoltare con pazienza la propria voce interiore…”. Non luogo verso cui scappare, lasciando che il mondo ci crolli addosso, ma luogo da cui ricominciare. Rialzarsi. Rinascere. Dove è possibile custodire un’altezza che ti permette di elevarti e una profondità che ti consente di fermarti e raccoglierti: “C’è sempre una camera silenziosa in qualche angoletto del nostro essere e potremo pur occuparla di tanto in tanto (…) Non potranno di certo privarci di quello spazio”. È qui che si possono riaccendere la luce della ragione e il calore del cuore, per tornare a pensare e lottare. E sentire nostalgia del bene proprio quando esso soccombe.
Anche se il mondo di fuori stava capitolando sotto la barbarie nazista, Etty capisce che c’è dentro di noi uno spazio che nessuno potrà mai oscurare. È lì che si decide la vera battaglia tra il bene e il male. Affrontare il crollo dell’esteriorità con la profonda forza della propria interiorità: “Spesso ci chiediamo che cosa spinge l’uomo a distruggere gli altri(…) Ricordati che sei uomo anche tu…Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, e non vedo nessun’altra soluzione se non quella di raccoglierci in noi stessi e strappar via il marciume”. E più avanti si legge: “E ora che non voglio più possedere nulla e che sono libera – ammette, risolta – ora possiedo tutto e la mia ricchezza interiore è immensa”.
E quando pregava Dio – nel quale stava diventando sempre difficile continuare a credere – non chiedeva di essere salvata, ma che fosse lei a salvare Lui, e salvarlo dal quel male che pareva provare che davvero, come aveva preconizzato Nietzsche, Dio era morto. “E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”.
Non si tratta solo del Dio della religione. Salvare Dio, per Etty, è salvare il bene e il bello in noi, anche quando il male fuori di noi pare essere più forte e quasi invincibile. Scrive Etty: “…la coscienza del bene che c’è stato nella vita – anche nella mia vita – non è stata soppiantata da tutte queste altre cose, anzi diventa sempre più parte di me…Voglio stare in mezzo ai cosiddetti ‚orrori‘ e dire ugualmente che la vita è bella”.
E per quale ragione farlo? Forse perché il male non è così profondo quanto il bene. A tal proposito, ha avuto ragione la filosofa Hannah Arendt nel dire che “il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possiede né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso “sfida” il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”.
La giornata della memoria non serve solo a ricordare la Shoah, ma serve anche a confrontarci con il possibile male che sempre, accovacciato, incombe come possibile scelta su di noi e dentro di noi. Siamo chiamati a vegliare e a tenere deste le coscienze sui quei piccoli germi che possono di nuovo sconvolgere il mondo.
Il filosofo italiano, L. Pareyson, diceva che è la libertà di ogni uomo – di ciascuno di noi – ad avere in mano il potere di risvegliare il male dormiente nel mondo.
Proprio come dice Etty: “Una volta ho scritto nei miei diari: vorrei tastare i contorni di questo tempo con la punta delle dita. Ero seduta alla mia scrivania, allora, e non sapevo bene come accostarmi alla vita, perché non l’avevo ancora toccata dentro di me. Ho imparato a farlo mentre ero seduta qui. Poi, d’un tratto, sono stata scaraventata in un centro di dolore umano, su uno dei tanti, piccoli fronti di cui è disseminata l’Europa. E là – sui volti delle persone, su migliaia di gesti, piccole espressioni, vite raccontate – su tutto ciò ho improvvisamente cominciato a leggere questo tempo come un insieme compiuto, e non solo questo tempo”.
Non si tratta di semplice resilienza, come la si chiama oggi. Qui c’è molto di più. Vi è la constatazione che, in fondo, non è il bene ad essere fragile, come ha paventato la filosofa Martha Nussbaum,in un suo famoso libro, ma ad esserlo è il male, anche se a prima vista pare vincente e onnipotente, invalicabile e inaggirabile.
Ce lo ricorda sempre la Hyllesum con un altro suo passo famoso: “La miseria che c’è qui è veramente terribile – eppure alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare – e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo.
A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch’io una piccola parolina. (…) Voglio essere un cuore pensante„.
Oltre alle Lettere e ai Diari pubblicati da Adelphi, per avvicinarsi al pensiero della Hyillesum, si può leggere il bellissimo libro dal titolo Donna di parola. Etty Hillesum e la scrittura che dà origine al mondo (Apeiron, pp. 159, euro 12) di Antonella Fimiani, un interessante modo per fare ritorno al suo potente apprendistato.