Vivere il vangelo, osare cambiare

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Cesare Zucconi , Comunità di Sant'Egidio, Ökumenischer Kirchentag
Cesare Zucconi, segretario generale della Comunità di Sant'egidio all'Ökumenischer Kirchentag

Riportiamo alcune parti della testimonianza di Cesare Zucconi, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio, ospite dell’Ökumenischer Kirchentag, ÖKT, (15.05.21). Cesare Zucconi insegna alla Friedrich-Schiller-Universität di Jena, ateneo specializzato negli studi sulla riconciliazione religiosa. Figlio di diplomatici, fin da ragazzo fu attratto dalla comunità di Sant’Egidio: già allora insieme ad altre e altri giovani aiutava i ragazzi meno abbienti a scuola affinché poi avessero una prospettiva lavorativa migliore. Ha moderato la giornalista Gudrun Lux. Il video integrale dell’incontro è disponibile sul sito dell‘ÖKT.

trascrizione e traduzione a cura di Paola Colombo

Nel suo intervento, dopo aver raccontato il successo delle trattative nel 1982 che hanno posto termine alla guerra in Mozambico, grazie all’impegno della Comunità di Sant’Egidio, Zucconi ha sottolineato che per raggiungere la pace: “è importante non cedere, continuare. Ci sono molte guerre nel mondo, guardiamo in questi giorni (al 15.05 non era ancora stata raggiunta la tregua fra Israele e Hamas) a quello che sta succedendo in Terrasanta. Anche se i riflettori non sono puntati sulle guerre nel mondo, non bisogna cedere. Credo che questo sia il segreto di Sant’Egidio, credere nella pace, non cedere e continuare a lavorare per la pace. E lentamente questo ci ha resi partner e mediatori affidabili”.

Qual è il segreto di Sant’Egidio? Come raggiungete oggi giovani?

È una domanda centrale. In Italia circa la metà dei giovani si dichiara non credente e non credo che in Germania sia molto diverso. Sant’Egidio è stata fondata dai giovani in un’epoca in cui c’erano molti giovani in Europa e c’era un loro forte protagonismo, si pensi al Sessantotto nelle scuole, nelle università. Ogni generazione è diversa e penso sia importante rimanere in dialogo con le giovani generazioni di oggi. I poveri aprono una porta, sono evangelizzatori, parlano del Vangelo. Durante la pandemia è stato molto difficile per loro; molti senzatetto hanno sofferto la fame, nessuno andava in giro in strada. In questa situazione ci sono stati molti giovani che hanno detto “Noi vogliamo aiutare, vogliamo dare una mano”. Credo che l’esperienza di stare coi poveri, con i senzatetto abbia sollevato in loro molte domande: “Come possiamo trovare una lingua che porti il vangelo, come possiamo testimoniare, annunciare e vivere un vangelo che sia collegato alla vita?”. Quello che ho vissuto in questi quindici anni in Sant’Egidio, è ciò che mi ha affascinato: quanto il vangelo sia connesso alla vita, alla mia vita. Non si tratta di una dottrina morale che non ha nulla a che fare con la vita. I poveri parlano a noi del vangelo, ci insegnano che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che siamo fragili. I poveri ci ricordano che questo mondo così com’è non è giusto. Papa Francesco ha detto lo scorso anno che noi restiamo in salute in un mondo malato. I poveri ci dicono quanto sia malato il mondo e, se sono nostri amici, non lo dimentichiamo e ci impegniamo affinché questo mondo con il nostro impegno, lavoro e vita sia meno malato. I giovani hanno questa prospettiva, pensiamo alla questione dell’ambiente, a Friday for Future per esempio, loro hanno questa prospettiva sul mondo e dobbiamo cercare di andare con loro e ascoltarli. Sant’Egidio è stata fondata da giovani liceali che hanno capito che si poteva fare qualcosa nel mondo, non solo produrre e consumare, ma anche cambiare.

Pasqua 2021 a Roma, ragazzi di Sant’Egidio distribuiscono uova di cioccolato ©Comunità di Sant’Egidio

Se guardiamo al grande movimento giovanile Friday for Future, quando vedi le loro manifestazioni che cosa pensi?

Provo una grande gioia e una grande speranza. Penso che hanno osato molto e hanno messo in movimento qualcosa. C’è una staticità, una paralisi generale, un’impotenza di chi governa e di chi ha le responsabilità. (…) È quello che abbiamo sentito fortemente anche nel ’68, non essere sottomessi, non avere la cultura della remissività che dice “lo dicono le istituzioni”, “lo dicono quelli che hanno responsabilità”, allora dobbiamo ubbidire. Non è una chiamata alla rivolta armata ma a una rivolta, sì. Credo
che i giovani debbano iniziare un cambiamento e non accettare l’affermazione “abbiamo sempre fatto così, per questo andiamo avanti a fare così”. Perché? Dove sta scritto? Le cose si possono cambiare, si può fare diversamente. Questi movimenti come Friday for future e Youth for peace (Sant’Egidio) vengono da un’autentica preoccupazione circa il nostro futuro. Come anche i giovani migranti vengono dal sud del mondo per cercare qui un futuro migliore e questo da noi non viene compreso spesso. Il desiderio di
preoccuparsi del futuro spesso non è capito dagli adulti, il mondo è dominato dagli adulti che cercano di espandere il più possibile questo loro mondo. Credo che un appello alla rivolta dobbiamo sostenerlo.

Quanto ecumenico è Sant’Egidio?

Siamo nati a Roma nella chiesa cattolica, Sant’Egidio è un frutto del Concilio vaticano secondo, senza di esso non ci saremmo. Gli iniziatori erano giovani studenti cattolici laici (Andrea Riccardi, il fondatore) che hanno preso in mano la Bibbia e hanno scoperto l’amicizia dei poveri. Poi già alla fine deli anni ’70 molti pellegrini dalla Germania in viaggio verso Roma hanno scoperto Sant’Egidio e sono diventati membri della Comunità. C’erano anche dei protestanti. Lo stesso posso dire delle nostre comunità in
Russia e in Ucraina dove una parte consistente dei nostri membri sono nella tradizione ortodossa. Fin dall’inizio abbiamo avuto questo sguardo per l’ecumene e abbiamo cercato di vivere la solidarietà coi cristiani nel mondo che vivono in situazioni difficili. Abbiamo anche imparato dalle altre tradizioni cristiane. All’inizio si diceva di noi che eravamo protestanti. Perché? Perché abbiamo preso molto sul serio la Bibbia. Ogni sera leggiamo e interpretiamo un passo dalla Bibbia nella nostra preghiera serale. Questo lo hanno sempre fatto i protestanti. Fino al Concilio vaticano secondo la Bibbia era qualcosa per specialisti, per teologi (…). Nelle nostre preghiere e canti c’è anche la tradizione orientale. Come cristiani dobbiamo vivere con questi due polmoni. Papa Giovanni Paolo II parlava di questi due polmoni, quello occidentale e quello orientale, ma così si respira a Sant’Egidio.


Ci sono positive novità nel dialogo interreligioso dopo l’incontro di Assisi del 1986?

Lo spirito di Assisi, questa giornata del 1986 quando Giovanni Paolo II ha inviato i capi delle religioni mondiali per pregare per la pace. Era un altro mondo rispetto ad oggi, c’era ancora la guerra fredda, era il tempo dell’affermazione degli stati che spingeva le religioni sempre di più nelle sfere del privato e oggi non è così. Le religioni oggi sono spesso benzina nei conflitti, ma possono anche essere acqua che spegne i conflitti. Penso che Sant’Egidio ha fatto sua la visione di Assisi e dietro c’è la visione dell’unità della famiglia umana, una visione che oggi spesso perdiamo di vista perché ci sono troppe divisioni e problemi di identità. (…) Abbiamo pensato con Giovanni Paolo II che questo spirito di dialogo, della simpatia, dell’ascolto e del rispetto debba essere portato avanti anche per uscire dell’autoreferenzialità, per prendere coscienza della responsabilità e rifiutare la violenza. Ci sono buone notizie oggi, pensiamo alla dichiarazione congiunta del papa con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyed (si veda www.delegazione-mci.de, l’Enciclica “Fratelli tutti”), che conosciamo bene e ha partecipato più volte ai nostri incontri, è stato un grosso passo
avanti per il dialogo con il mondo sunnita. È stato poi molto toccante l’incontro del papa in Iraq con grande ayatollah al Sistani, rappresentante del mondo sciita. Tutto questo fa bene. Ma il viaggio in Iraq è stato molto importante per il messaggio di conciliazione, ha mostrato che il dialogo è possibile, che insieme oggi in pandemia non ci salviamo da soli ma che dobbiamo
remare insieme nella storia.



Comunità di Sant’Egidio
Pace, poveri, preghiera, così papa Francesco ha sintetizzato il lavoro della Comunità di Sant’Egidio. Il confronto con la Bibbia,
l’annuncio del vangelo, l’amicizia con poveri, il dialogo interreligioso e l’ecumene, l’impegno per la pace e per i diritti umani (p.e.
l’apertura di corridoi umani per i migranti) sono i cardini dell’impegno e del lavoro della Comunità sant’Egidio. La comunità prende
il nome dalla sede, il monastero di Sant’Egidio in Trastevere a Roma. È una comunità laica, fondata nel 1968 da Andrea Riccardi e altri giovani studenti, ed è riconosciuta dalla chiesa cattolica come comunità spirituale. La Comunità è diffusa in diverse parti del mondo. In Germania ci sono comunità a Berlino, a Monaco di Baviera, a Würzburg e a Mönchengladbach.