Una Bibbia, tante Bibbie: qual è la versione giusta?

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La Bibbia di Gutenberg, NYC Wanderer (Kevin Eng) commons.wikimedia.org

“Nella Bibbia c’è scritto…” Con un inizio di questo tipo ancora oggi si cercano argomenti per giustificare tesi moraleggianti o visioni della Chiesa e della società più o meno funzionali alla propria opinione, sia questa conservatrice o progressista. Nella Bibbia c’è infatti scritto un po’ di tutto. Non è difficile trovare testi pro e testi contro la guerra, pro e contro l’omosessualità, pro e contro le donne, la menzogna, l’omicidio, il divorzio ecc. Nel citare la Bibbia spesso non solo non si comprende davvero il suo messaggio, ma quasi sempre non si ha nemmeno chiaro di che cosa si parli, quando si usa questa parola.

-di Simone Paganini –

Bibbia non è semplicemente il titolo di un testo autoritativo per le Chiese cristiane. Il termine ta biblia (in greco antico una forma plurale) significa “i libri”: Bibbia non è quindi un libro solo, ma un’intera raccolta, una biblioteca o meglio un’antologia. Il più lungo di questi libri è quello che porta il nome del profeta Geremia composto da ben 21.819 parole, mentre il più breve è composto da solo 291 parole: l’annuncio del giudizio contro Edom nel libretto che porta il nome del profeta Abdia.

Che il libro del profeta Geremia sia il più lungo e che quello di Abdia il più corto è un dato di fatto indiscutibile. Quanto sia lunga l’intera Bibbia, di quanti libri sia composta, in che ordine questi siano posizionati l’uno dopo l’altro, sono invece questioni decisamente più discusse. La risposta a queste domande dipende fondamentalmente da quale Bibbia si decide di prendere in mano. La Bibbia ebraica ad esempio è differente da quella cristiana.

Antico o primo Testamento?

Ma anche questa può essere molto diversa a seconda se si tiene in mano una Bibbia cattolica o una protestante, per non parlare della Bibbia della chiesa ortodossa o di quella della chiesa copta o di quella etiope. Mentre la Bibbia ebraica è composta da 39 libri divisi in tre sezioni (i libri della legge, quelli storici e quelli profetici), la cosa comune a tutte le Bibbie cristiane è la sua divisione in due parti.

Queste vengono denominate “testamenti”: il “primo” o l’“antico” Testamento e il “nuovo”. La discussione che si è sviluppata nel corso degli ultimi anni se sia meglio utilizzare il termine “primo” o “antico” è controversa. Parlare di “primo Testamento”, per cercare di evitare una valutazione tra i due Testamenti – uno “vecchio” e uno “nuovo” –, lascia infatti la possibilità aperta che vi sia non solo un “secondo”, ma anche un “terzo”, un “quarto” etc. Testamento. Da un punto di vista giuridico poi, la definizione “primo” è ancora più pericolosa, infatti il “secondo” o “nuovo” Testamento nullifica normalmente il “primo”. Questo secondo la dottrina cristiana non solo non è possibile, ma è stato dichiarato chiaramente eretico. Il “nuovo Testamento” non sostituisce l’“antico”, che anzi è parte integrante e fondamentale della storia della salvezza.

Il termine “Testamento” poi non ha nulla a che vedere con le “ultime volontà” o con le “disposizioni per gli eredi”. Testamentum in latino significa “alleanza, contratto, patto”. Nella Chiesa è chiaro che l’antico patto con Israele non viene eliminato dal patto nuovo fatto da Gesù. In ogni caso il Nuovo Testamento è uguale per tutte le chiese cristiane: 27 libri tra Vangeli, Lettere e Apocalisse. Per l’Antico Testamento la situazione è invece più complessa. Quello protestante ad esempio riprende solo i libri scritti in ebraico mentre quello cattolico ne aggiunge sei tramandati solo dalla tradizione greca. La Bibbia cattolica è quindi un po’ più lunga di quella protestante.

Mentre il giudaismo definì l’ordine e la composizione della propria Bibbia già verso la fine del I secolo d.C., la definizione della composizione della Bibbia cristiana durò decisamente più a lungo. Come reazione alla riforma protestante la chiesa cattolica la definì durante il Concilio di Trento (8 aprile 1546).

Nel fare questo dichiarò definitivo ed autoritativo con più di 1.000 anni di ritardo l’ordine che – senza rilevanti eccezioni – era quello tradizionalmente accettato e utilizzato nella liturgia sin dal 393 d. C.