Sinodalità e comunione – Che cos’è la sinodalità? (parte prima)

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Logo del Sinodo sulla sinodalità ©synod.va

Un anno fa ha preso avvio il sinodo universale sulla sinodalità. Ma che cos’è la sinodalità? Donata Horak, teologa canonista, ce lo spiega partendo dalle tre parole chiave del sinodo: comunione, partecipazione e missione. Questo mese parliamo di sinodalità e comunione. l testo che segue è una sintesi della prima parte della relazione “Per una Chiesa sinodale” che la teologa ha tenuto in videoconferenza in occasione del Convegno dei laici della Delegazione (21 maggio). La relazione è visibile sul canale youtube UDEPDELEGAZIONE. Ogni mese, per tre mesi, riporteremo i tre aspetti trattati nel contributo della teologa: sinodalità e comunione, partecipazione e autorità, missione e integrazione. Donata Horak, piacentina, è docente di Diritto Canonico.


Il punto di partenza è il Documento preparatorio della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi del 07.09.21 dal titolo “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione” (scarica sotto il documento). Si tratta di un testo che ha sorpreso per la praticità dei contenuti, in particolare, il punto V, quello sulla corresponsabilità nella missione e l’VIII, quello su autorità e partecipazione. In essi la sinodalità è collegata alla missione della Chiesa, alla partecipazione nonché all’integrazione delle diverse tradizioni. La partecipazione è correlata al tema dell’autorità. L’esercizio dell’autorità non deve spaventare, esso ha a che fare con la partecipazione e la corresponsabilità e anche con un nuovo assetto della distribuzione dei ministeri e dei poteri. I processi sinodali in corso, le riforme all’interno delle Chiese potranno ridefinire gli assetti di potere.

I tre pilastri della sinodalità sono:

1 – Sinodalità/Comunione. Oltre la democrazia e la monarchia. Antichi e nuovi ordini sinodali.
2 – Partecipazione/Autorità. Non più modello alto/basso. Natura e origine del potere nella Chiesa. Autorità che autorizza.
3 – Missione/Integrazione. Rapporto fra universale e particolare. Collegialità effettiva. Vediamo Sinodalità/Comunione.

Papa Francesco (2015) nel Documento in commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (scarica sotto il documento), ha scritto che la sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa ed è la dimensione costitutiva della Chiesa. Sinodo, sappiamo, significa camminare insieme. Anche se la parola sinodalità non è presente nei documenti conciliari tuttavia è presente nel cuore dei testi quando si parla di popolo di Dio, si pensi alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (1964). Se guardiamo a un’altra fonte ufficiale, il Codice di diritto canonico (1983), il can. 208 esprime chiaramente, come mai prima, l’uguaglianza di tutti i battezzati: „Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i cómpiti propri di ciascuno“, mentre il can. 209 §1 richiama all’obbligo di conservare la comunione: „I fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la comunione con la Chiesa“. La comunione è la forma della Chiesa e il suo metodo di agire che ci sono stati dati nella celebrazione eucaristica. La sinodalità manifesta la nostra comunione. La tradizione, in particolare quella del primo millennio, ci offre molte soluzioni sulla sinodalità. (cfr. l’intervista a padre Legrand Una Chiesa trasformata dal popolo | Delegazione-mci, n.d.r.).


La Chiesa non è una multinazionale con circoscrizioni territoriali ma è una comunione di chiese, non è una piramide ma una rete, un corpo
sinfonico. Però c’è un nodo, un punto debole, ed è quello del rapporto fra l’ambito consultivo e quello deliberativo. Questo corpo sinfonico ha
come unico punto di raccordo il vescovo, nella sua persona, che esercita il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Questo esercizio di potere sarebbe una monarchia assoluta se non lo interpretasse alla luce della communio. Inoltre, mentre il potere esecutivo e giudiziario sono delegabili tramite i vicari, quello legislativo non si può delegare, in questo momento l’ordinamento lo proibisce.
La domanda è allora se anche questo potere legislativo non richiederebbe un esercizio più sinodale. Questo è un punto da sottoporre a una riflessione. Infatti se un vescovo perde la comunione, perde tutto. Abbiamo probabilmente da sviluppare nuovi istituti, nuovi organismi e nuove occasioni di sinodalità. I sinodi diocesani sono deboli, hanno sempre solo valore consultivo. Nella Chiesa la consultazione dovrebbe avere un peso maggiore. Anche i consigli pastorali spesso non sono messi in condizione di aiutare veramente il vescovo, non sono formati e informati su ciò di cui si tratta. Il nostro ordinamento prevede anche la convocazione di concili particolari. I concili, sappiamo, sono deliberativi, possono promulgare leggi, darsi una disciplina diversa, ma in Europa non vengono convocati. Il vescovo, quindi, spesso è solo, anche il vescovo di Roma lo è di fronte a una decisione.

Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet
(ciò che tocca tutti deve essere da tutti trattato e approvato)

La Chiesa in forza della comunione non è una monarchia, ma neanche una democrazia. La democrazia cerca la maggioranza, crea consenso. I consigli, i sinodi e i concili non sono affatto piccoli parlamenti dove i membri sono dei rappresentanti con un mandato. E allora? A quali modelli di sinodalità ispirarci? Nella tradizione, soprattutto nel primo millennio, abbiamo modelli, non mondani, che ci sorprendono:
Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet (ciò che tocca tutti deve essere da tutti trattato e approvato). Questa massima è stata messa per iscritto nel XIII secolo (Bonifacio VIII) ma è molto più antica. Approbari, approvare, non è un’alzata di mano, non si procede a maggioranza ma si cerca la comunione. In che modo si mantiene la comunione evitando spaccature? Si sospende la decisione; si coinvolge un altro organismo sinodale; ci si rivolge a una terza parte (per esempio, il vescovo di Roma); si coinvolgono organismi di mediazione, soprattutto per ciò che riguarda la vita dei laici. In questo modo la consultazione e la deliberazione non sono contrapposte ma sono un processo che fa confluire l’una nell’altra. Per arrivarci occorrono tempi lunghi. Allora, come Chiesa abbiamo davanti a noi un tempo di riforme in senso sinodale di alcuni istituti, riforme necessarie per essere più fedeli alla forma che riceviamo nella celebrazione dei sacramenti, e non per inseguire i tempi, per essere più democratici o accettati dalla società. Come 50 anni fa è nato il sinodo dei vescovi, così dobbiamo procedere a creare nuovi organismi sinodali che lo Spirito suggerirà. Fare in modo che i vescovi vivano una collegialità effettiva non solo affettiva, affinché la comunione non ricada sulle loro spalle, affinché possano esercitare il loro ministero in forma più comunionale. (Il mese prossimo tratteremo “Partecipazione/Autorità).


I documenti citati:


Nata a Piacenza, Donata Horak si è laureata in Giurisprudenza nel 1992 a Pavia. Nel 1997 ha conseguito il Dottorato di ricerca in Discipline Canonistiche e il Baccellierato in Teologia presso lo Studio Teologico Alberoni, affiliato alla Pontificia Università S.Tommaso di Roma.

È docente di Diritto Canonico presso lo studio teologico Alberoni (affiliato alla Pontificia Università Angelicum) di Piacenza, presso la Scuola Diocesana di Formazione Teologica di Piacenza. Inoltre insegna religione cattolica presso la scuola secondaria superiore. Fra le sue più recenti pubblicazioni:

Le istituzioni ecclesiali alla prova del genere (con Andrea Grillo), edizioni San Paolo, 2019
Sinodo, democrazia, opinione pubblica, in Credere Oggi, Ed. Il Messaggero, 2022
Occorre mettere al centro le periferie delle Chiese, in Tuttavia.eu, febbraio 2022
Qualcosa da ri-dire. Tracce per percorsi ecclesiali, collettanea, Ed. Queriniana, 2021
Fare le domande giuste. Il commento di una canonista, rubrica Donne e Sinodo, Il Regno 18/2018.


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