Sabato 3 dicembre la missione di Dreieich (diocesi di Mainz) ha festeggiato i suoi 50 anni. A colloquio con il diacono Vincenzo Linardi
(a cura di Paola Colombo)
Nella comunità di Dreieich ci sono il parroco Reinhold Massoth, la segretaria Kendra Crai e Vincenzo Linardi, diacono, che ci parla di una comunità nella quale è cresciuto.
„La Missione Cattolica fu ed è tutt’ora il nostro „Mondo Piccolo“, se vogliamo citare Guareschi. Tra queste mura, dal lontano 1974, sono cresciuto e posso dire che ho vissuto insieme ai miei coetanei la mia prima realtà parrocchiale, il catechismo, il cinema in lingua italiana, la domenica sera, il gruppo giovanile eccetera. Poi dal 1988 partecipai attivamente alla vita della Missione, inizialmente come catechista, come lettore, nel 1990 come membro del consiglio pastorale e dal 1994 come ministro straordinario della Comunione. Nel 2016 sono stato ordinato Diacono permanente, sono anche un membro del „Beirat von Katholiken anderer Muttersprache“, cioè del Comitato consultivo dei cattolici di altra lingua madre“.
Come è cambiata la comunità negli ultimi anni?
All’inizio erano soprattutto gli uomini a raggiungere la Germania tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60. La stragrande maggioranza degli emigranti proveniva principalmente dall’Italia meridionale e non avevano neanche l’intenzione di restare qui in Germania, fino a quando i primi non hanno iniziato a portare qui le loro famiglie. Grazie alla collaborazione di Stato, Chiesa, Consolati, Associazioni dei genitori e Comuni, nacquero le “classi scolastiche bilingue” tedesco/ italiano che facilitarono l’integrazione dei bambini nella rete scolastica tedesca e poi anche nelle cosiddette Berufsschulen, scuole professionali, per avere un facile approdo nel mondo del lavoro. Sia la Chiesa italiana che quella tedesca non erano impreparate a questa immigrazione e fin dall’inizio questo movimento migratorio fu pastoralmente accompagnato. La nostra Missione divenne quel centro, quella piazza, quel luogo dove il sacro e il profano si incontravano e s’incontrano tuttora. Un luogo in cui, con l’aiuto anche della Caritas, si andava e si va tuttora ad affrontare le varie necessità di cui la nostra gente aveva e ha ancora bisogno. Non mancano le occasioni di feste sia laiche che religiose ma sicuramente la cosa più importante è sforzarsi di vivere la nostra vita quotidiana nella fede in Cristo, perché senza fede la nostra vita resta muta e annaspiamo nella solitudine e nell‘indifferenza del suo silenzio. Possiamo dire che coloro che allora erano semplici emigranti oggi sono concittadini e parte integrante sia della società che della Chiesa locale.
Lei è uno dei pochi diaconi italiani in servizio per le missioni. Come è nata in Lei la scelta di diventare diacono?
La Costituzione Dogmatica Lumen Gentium al Num. 29 dice: “Il diacono serve il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio”. Sono sempre stato innamorato della figura di Gesù, affascinato dalla sua schiettezza e anche dalla sua radicalità per quanto riguarda l’amore e il servizio verso il prossimo. Alcuni esempi… il Gesù di Marco dice espressamente: fra voi, chi vuol essere grande o il primo deve essere a servizio di tutti. “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Lo troviamo anche in Matteo: „Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”. (Mt 23,1-12) Questi versetti mi hanno sempre affascinato. Sono del parere che queste siano delle risposte chiare e che non lasciano spazio a fraintendimenti: servire significa amare. Infatti se l’amore non è lavare i piedi (Gv 13,4-5), se non è farsi schiavo dell’altro, allora questo è inevitabilmente egoismo camuffato e ricorda tanto l’accusa mossa da Gesù agli scribi e ai farisei, dove tutto era finalizzato solamente ad essere ammirati dalla gente, ovvero ad avere una bella immagine di sé e a non andare al di là della punta del proprio naso. Bisogna quindi esercitare il proprio servizio e bisogna esercitarlo umilmente. Meditando su ciò nacque il mio desiderio, la mia scelta di seguire il Signore.
Come si è dovuto preparare per diventare diacono, quanto tempo ci è voluto?
Dopo un periodo di discernimento, dove spesso bisognava prendere o affrontare decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza di fronte a spinte interiori contrastanti, dopo un periodo di esercizi spirituali, accompagnato da un amico fraterno, padre Roberto del Riccio SJ, partecipai ad un triennio di formazione, Theologie im Fernkurs di Würzburg, e a un tirocinio in un’altra parrocchia, nel mio caso fu la Missione cattolica di Offenbach/Main: alla comunità e a don Paolo devo eterna gratitudine. Fui ordinato diacono il 7 maggio 2015 dal cardinale Karl Lehmann. Ma la formazione non si conclude con l’ordinazione attraverso l’imposizione delle mani del Vescovo; essa continua a livello personale, familiare ed ecclesiale. Per me il ministero del diacono è un dono e tale dono va compreso e custodito, e necessita di un continuo discernimento, di una relazione profonda con il Signore, di formazione, di crescita umana e spirituale. Aggiungo che anche se sembra tutto così lineare non è stato così semplice. Dunque, è necessaria una formazione continua a livello teologico, spirituale e pastorale per svolgere un ministero fecondo e poter rispondere adeguatamente alle sfide culturali in campo teologico, filosofico, etico e sociopolitico che l’uomo di oggi vive.
Lei svolge anche un lavoro civile. Come si concilia il lavoro “normale” con diaconato e famiglia, in termini di tempo, di energia?
La corretta definizione del mio ruolo è: “Ständiger Diakon mit Zivilberuf”, ovvero “diacono permanente con un lavoro civile”. Lavoro da 36 anni, qui a Dreieich, in un’azienda farmaceutica, la Biotest, dove sviluppiamo e rendiamo disponibili a medici e pazienti i nostri prodotti plasmaderivati per l’area ematologica, immunologica e per la terapia intensiva e altro ancora. Sono anche stato membro per oltre 20 anni del cosiddetto Betriebsrat, il consiglio di fabbrica, e dal 1994 al 1997 membro dell’Ausländerbeirat, la consulta per stranieri, della città o meglio del comune di Dreieich. Sicuramente tutto questo comporta sacrifici in termini di tempo e un dispendio di energie anche all’infuori della mia vita privata. Con il tempo ho imparato a organizzarmi sempre meglio così da poter svolgere il mio servizio pastorale con dedizione. Un’opera di discernimento non sarebbe possibile se, alla base di tutto, non ci fosse la forza che traggo dalla preghiera e dal continuo studio dei testi sacri.