Nella terra di Abramo sui passi del dolore

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Papa in Iraq
Papa in Iraq, ©Vatican Media / SIR

Il viaggio di papa Francesco in Iraq pellegrino di pace e di speranza – Il tempo si è fatto veloce, sembra trascorso tanto tempo ed è successo ieri: il viaggio di papa Francesco in Iraq. Viaggio che è già entrato nella storia e che merita ancora alcune riflessioni.

Egidio Todeschini

Dal 5 all’8 marzo papa Bergoglio è andato laggiù, un Paese segnato dalla guerra, dalle violenze. Un viaggio coraggioso che testimonia la volontà di tendere la mano al mondo musulmano, di sostenere i cristiani perseguitati, per non lasciar cadere nell’oblio le sofferenze di un popolo che pare lontano dai nostri interessi quotidiani.

È stato il primo papa a visitare l’Iraq. È stato uno dei viaggi mancati di Giovanni Paolo II. Nell’anno 2000 – anno del grande Giubileo – papa Wojtyla aveva sognato di andare nella Terra di Ur, in Mesopotania, dalla quale secondo la tradizione biblica il patriarca Abramo iniziò il suo cammino spirituale. Quelli erano ancora gli anni di Saddam Hussein, ma poi ci furono pressioni politiche intrecciate a motivi di sicurezza che resero impossibile quel viaggio. In seguito in Iraq è successo di tutto: la guerra del Golfo nel 2003, l’uscita di scena del rais, la violenza fondamentalista e un vero e proprio calvario della chiesa locale. Vent’anni fa erano un milione e mezzo i caldei, cioè i cristiani dell’Iraq. Le ripetute stragi, le minacce e l’emigrazione li hanno ridotti a poche centinaia di migliaia, concentrati soprattutto al Nord che è il Kurdistan iracheno.

Dentro tutta questa sofferenza, che le potenze occidentali dopo aver scatenato la guerra hanno tendenzialmente rimosso – l’Isis è stato l’ultimo anello della tragedia. Era l’estate del 2014 quando, a Papa Francesco, da un anno salito al soglio di Pietro, giungevano a Roma le testimonianze dell’esodo forzato da Mosul e dalla Piana di Ninive.

Viaggio in Iraq di papa Francesco – Messa allo stadio Foto: © Vatican Media/SIR

E’ stato un pellegrinaggio sui passi del dolore: Mosul, l’ex capitale del Califfato; Qaraqosh, uno dei tanti villaggi devastati; Erbil, la città curda rifugio dei cristiani in fuga. Ma sono stati anche i racconti di coloro che hanno perso case e proprietà nei villaggi della piana di Ninive e Mosul che hanno aiutato a comprendere il significato della visita del papa. Centinaia e migliaia di famiglie hanno dovuto fuggire, terrorizzate da un’orda di fanatici decisi e derubarli e ucciderli in nome di Allah. Festeggiato da quelle comunità martiri, papa Francesco è passato in auto tra croci divelte e statue mozzate, ha visitato chiese in macerie e in una di Qaraqosh appena ricostruita ha pronunciato la parola più forte di incoraggiamento a restare, cioè a non emigrare, tra quante ne ha rivolte in quei giorni della visita alla decimata comunità cattolica. “La strada per una piena guarigione – ha detto in quella chiesa dove c’erano anche tanti bambini – potrebbe essere ancora lunga, ma vi chiedo di non scoraggiarvi. Ci vuole capacità di perdonare e nello stesso tempo coraggio di lottare”. Con negli occhi i marmi lucenti della chiesa ricostruita con l’aiuto dell’Unesco il papa ha detto ancora:” Questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola”.

A Mosul, poco prima, aveva guidato una preghiera per le vittime della guerra: “Se Dio è il Dio della vita, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome; se Dio è il Dio della pace, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome”.

C’è dentro tutto questo nel viaggio del Papa in Iraq, con tante tappe legate alle lacrime di quel Paese: a Bagdad ha incontrato i religiosi nella cattedrale siro-cattolica dove il 31 ottobre 2010 ben 48 fedeli furono massacrati da un commando di terroristi durante una celebrazione. A Mosul ha pregato per tutte le vittime dell’Isis nella piazza della chiesa ancora in macerie; a Qaraqosh, nella Piana di Ninive, un tempo culla di una folta comunità cristiana, ha incontrato quanti, pur tra mille difficoltà e in un Paese tutt’altro che pacificato, hanno avuto il coraggio d tornare in case che non esistono più; nella Erbil curda che diede rifugio ai cristiani fuggiaschi, ha celebrato nello stadio alla presenza di diecimila persone distanziate per le misure anti Covid.

Il papa in Iraq
Viaggio in Iraq. Cerimonia di congedo. Foto: ©Vatican Media/SIR

Accanto alla vicinanza ai cristiani iracheni perseguitati, però, il viaggio di Papa Francesco ha avuto un secondo importante significato: incontrare “l’altra metà dell’Islam”. Se infatti il 2019 per papa Bergoglio si era aperto con l’altrettanto storico incontro di Abu Dhabi e la Dichiarazione sulla fratellanza umana insieme al grande iman di al Azhar, Ahmad al Tayyeb (il più autorevole esponente del mondo dottrinale sunnita), in Iraq Papa Francesco ha incontrato il grande ayatollah al Sistani. E questo storico incontro ha avuto luogo a Najaf, una città fondamentale per la storia e la mistica del mondo sciita. E questo è un altro tassello nell’alleanza tra le religioni per la pace che Papa Francesco va ostinatamente cercando di costruire. Un ponte gettato anche sulla grande frattura tra sunniti e sciiti che da secoli attraversa il mondo islamico e negli ultimi anni ha visto una grave recrudescenza nei conflitti che dalla Siria allo Yemen funestano il Medio Oriente. Un tentativo di dialogo in un momento cruciale anche dal punto di vista geopolitico per quest’area del mondo continuamente in subbuglio. E a Ur dei caldei, il luogo da cui Abramo partì per seguire la voce di Dio, Papa Francesco ha pregato insieme agli esponenti delle altre religioni per indicare la strada che conduca il Medio Oriente fuori dal bagno di sangue della sua storia recente.

“Grazie Papa, grazie Francesco per il tuo coraggio, per l’attenzione dedicata alle nostre comunità che soffrono” gli hanno detto i cristiani che ha incontrato. “L’Iraq rimarrà sempre nel mio cuore” ha risposto il papa nell’ultimo saluto dopo la messa di Erbil prima di lasciare l’altare con il passo sciancato. “Grazie Santo Padre per il coraggio d’essere venuto in questo Paese tormentato” gli aveva detto poco prima a nome di tutti l’arcivescovo di Mosul.