Martini e il suo „testamento“

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Arcivescovo Carlo Maria Martini
Cardinale Carlo Maria Martini ©CommonsWikimedia Mafon1959

(di Armando Matteo Vita Pastorale, agosto 2022. Articolo ripreso per gentile concessione del direttore, don Antonio Sciortino) – Non mi sembra per nulla esagerato indicare l’ultima intervista che il cardinale Carlo Maria Martini rilasciò, qualche settimana prima della sua morte, come un vero e proprio testamento d’amore.

Nelle risposte che egli diede al confratello p. Georg Sporchill (con il quale aveva già confezionato il riuscitissimo testo delle Conversazioni notturne a Gerusalemme) e alla giornalista Federica Radice Fossati si trova, infatti, come concentrato il grande amore dell’antico arcivescovo di Milano per la Chiesa, alla quale si era donato incessantemente, spendendo ogni sua energia fisica, intellettuale e spirituale. E nello stesso tempo si trova un invito, rivolto a tutti i suoi fratelli e sorelle nella fede, ad un rinnovato amore per la Chiesa.

Come è noto, l’intervista apparve sulle colonne del Corriere della sera l’indomani della morte del cardinale e precisamente il 1 settembre di dieci anni or sono. Ed ebbe subito un’immediata eco, che è continuata nel tempo. Addirittura, appena qualche anno fa, papa Francesco ne ha ricordato un passaggio in occasione del suo discorso natalizio alla Curia romana.

Ritornare ora su quelle parole di Martini, che – lo diciamo apertamente – hanno anche un che di ruvido e di provocatorio, non può avere altra valenza di quel «fare memoria» proprio della tradizione biblica, per il quale il ricordo è sempre un atto performante, che rende presente e vivo ciò che è già stato.

Ed è così che quell’intervista diventa, per ciascuno dei suoi lettori, in questo suo decimo anniversario, un invito a chiedersi quanto amore porta per la Chiesa, quale sogno ha per la Chiesa, quale speranza ha per la Chiesa, quale impegno intende porre in atto per la Chiesa. La situazione attuale della fede lo richiede.

La stanchezza dei credenti

Eccoci, allora, alla prima considerazione che Martini svolge sulla Chiesa, rispondendo alle domande di quell’intervista. Senza mezzi termini, Martini sottolinea lo stato di «stanchezza» in cui a suo avviso versa oggi la comunità dei credenti. Queste sono le sue parole:

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (…) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità».

Si trovano qui condensate due osservazioni particolarmente illuminanti: da una parte, la presa di coscienza che l’Occidente è ormai diventato la terra del «benessere», il quale benessere ha portato ad una radicale trasformazione delle condizioni di vita del cittadino medio.

Certo, anche oggi non mancano problemi o situazioni di fatica, ma, in uno sguardo generale e con riferimento al passato prossimo, è fuori da ogni dubbio che il cittadino medio dell’Europa e dell’America gode al presente di un’immensa gamma di possibilità e di opportunità mai neppure immaginate dai suoi genitori e dai suoi nonni.

La seconda osservazione è che la «cultura cattolica» è invecchiata. Si potrebbe dire, con un linguaggio più esplicito, che gli immaginari che governano l’azione pastorale della Chiesa non corrisponde più a quella inedita e inaudita condizione dell’umano che proprio la parola «benessere» condensa così efficacemente.

Servono così, aggiunge Martini nella risposta successiva, credenti più liberi e più audaci, capaci di riattivare la dinamica dell’amore nei confronti dei loro contemporanei, l’unica che può incoraggiare e sostenere la ricerca di vie nuove per annunciare la bellezza della fede nell’epoca del benessere diffuso.

Conversione, Parola, Guarigione

Nella terza domanda, l’antico arcivescovo di Milano indica poi tre suggerimenti all’intera comunità dei credenti in questo sforzo di approssimazione al tempo che sono chiamati a vivere. Richiama innanzitutto il tema centralissimo della conversione personale e comunitaria:

«La Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione».

Ricorda successivamente l’essenziale  centratura dell’intera esperienza cristiana sulla Parola di Dio:

«Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta».

Ed infine sottolinea la possibilità di mettere al centro della visione dell’azione sacramentale della Chiesa il tema della guarigione:

«I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza?».

Il famoso ritardo di duecento anni

Arriviamo così all’ultima risposta che Martini consegna ai suoi interlocutori e tramite loro a tutti noi. Si tratta della risposta che è diventata una sorta di slogan con il passare degli anni, da alcuni rilanciato poi con convinzione, da altri invece respinto con determinazione. Da parte mia, penso che quelle parole possano essere intese bene solo facendo riferimento al grande amore che Martini ha nutrito e manifestato per la Chiesa, un amore che egli voleva appunto con quelle parole risvegliare in tutti i credenti, per reagire alla stanchezza di cui si diceva sopra.

Ed ecco quelle parole famose:

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

Più in profondità a me sembra di poter dire che, in queste dense parole, lo sguardo di Martini non sia rivolto unicamente al passato ed eventualmente al ritardo accumulato oggi dai credenti, con riferimento probabilmente all’avvento del «benessere» nelle terre occidentali. Il suo sguardo mi pare più orientato al futuro.

Egli così non pensa tanto alla Chiesa che c’è o a quella che c’è stata; egli pensa alla Chiesa che verrà, alla Chiesa alla quale i credenti di oggi, vincendo il sentimento di sfiducia e di stanchezza che spesso li domina, vorranno dare vita. Per questo la nota dominante di questa risposta è quella dell’amore: è l’amore, insomma, che offre il giusto orizzonte di comprensione alla provocazione del bicentenario ritardo della Chiesa.

I credenti oggi sono allora chiamati ad un vero atto d’amore nei confronti dei loro contemporanei: un atto d’amore capace di mettere all’opera tutto ciò che è necessario mettere all’opera perché l’esperienza ecclesiale ritorni ad essere questo straordinario luogo d’incontro tra il Dio-Amore rivelatoci da Gesù e l’uomo e la donna delle terre del benessere.


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