Annuale celebrazione eucaristica per i cattolici di altra madrelingua, Francoforte 11 settembre (di Amoretto Machera) – È sempre una grande emozione veder portare la statua della Vergine Santissima in processione per le strade di Francoforte, maggiormente in un momento così fragile e delicato: due anni di pandemia, la guerra in Europa e la crisi energetica che hanno strapazzato e continuano a strapazzare gli animi e i portafogli degli europei. I fedeli assiepati lungo i marciapiedi, molti, con le lacrime agli occhi, hanno visto in questa celebrazione (Maria, madre di tutti i popoli, Maria, Mutter aller Völker) lo spiraglio di luce che rischiara le ombre che opprimono la nostra società. Le strutture che credevamo robuste si sono rivelate piuttosto fragili. I cattolici delle comunità di altra madrelingua hanno sfidato la pandemia, purtroppo ancora presente, e hanno voluto farsi coraggio partecipando, quasi a dire, in cuor proprio, che il peggio è passato e che, avendo toccato ormai il fondo, si può solo risalire. Personalmente ho avuto l’impressione che si respirasse aria di sollievo e di speranza, effusa sommessamente nella preghiera che, come aveva suggerito il celebrante, il vescovo ausiliare Thomas Löhr, esce dalla bocca ma deve nascere dal cuore; per questo ognuno deve poter pregare nella propria lingua e sentire, nella Vergine Maria, la vicinanza della madre che accoglie sotto il suo manto tutti i suoi figli, qualunque lingua essi parlino.
La festa della nascita di Maria è antichissima, fu introdotta nel calendario liturgico da papa Sergio I (650-701) ma in Oriente si celebrava molto prima. In Italia e, successivamente in Europa, è entrata attraverso la Sardegna bizantina. La solennità ricorre l’8 settembre, posticipata, con la celebrazione Maria, madre di tutti i popoli, di tre giorni per dare opportunità ai lavoratori di partecipare alla ricorrenza.
Come annunciato nel volantino, dopo la benedizione, ci sarebbe stato un momento di ricreazione e d’incontro con il vescovo. La comunità spagnola offriva Brezeln e Käsestangen, mentre la chiesa aveva messo a disposizione le bevande. Io ero riuscito ad accaparrarmi una birra e una Käsestange e cercavo uno posto a sedere. A un tavolo, di quelli lunghi, sedeva una signora con un bambino di 3-4 anni. Il piccino indossava un berrettino giallo e blu, la signora, con i capelli biondi e la faccia tonda come la luna piena, dicevano chiaramente che erano ucraini. La donna aveva gli occhi rossi, aveva pianto, mentre il bambino giocava, spensieratamente, con un’automobilina. La donna, seduta al lungo tavolo, gustava un brezel e sorseggiava una limonata. Chiesi se vi fosse un posto libero e rispose di non capire: «Nicht verstehe, ucraina». Continuammo a conversare in inglese: «Non ci sono molti cattolici nel suo paese, suppongo?» chiesi per non restar muto. «Ha ragione, la maggior parte siamo ortodossi» rispose «comunque la nascita di Maria la festeggiamo sia noi, sia voi; anche gli anglicani festeggiano questo evento». «Qui a Francoforte ci sarà, sicuramente, una comunità ortodossa, quella cattolica è riportata dal volantino, ma una chiesa ortodossa ci sarà sicuramente» le dissi. «Lo penso anch’io, in verità nemmeno l’ho cercata. Io vivo qui vicino, mio figlio è cattolico, per questo ho scelto questa chiesa. Le sembrerà strano, lo so. Mio marito è cattolico e il bambino è stato battezzato nella sua comunità». «Suppongo che suo marito non sia qui con Lei?» chiesi ancora e lei rispose «Mio marito, purtroppo, è al fronte. Io sono qui con mia suocera, siamo fuggite per mettere in salvo il bambino». «Per quel che si sente e si legge pare che l’esercito ucraino stia guadagnando terreno?» le chiesi. E lei: «Per me, e la maggior parte degli ucraini, chi avanza e chi retrocede, è insignificante, a noi interessa che la guerra finisca, che smettano, definitivamente, di bombardare, sparare, uccidere, massacrare gente innocente. Le vittime di questo maledetto conflitto sono, in prevalenza, le donne, seguono i bambini e le persone anziane. Le donne che hanno la sfortuna di essere stuprate dai russi sono poi odiate, mal viste e additate dalla società ucraina. Ho pregato, ardentemente, che questa guerra finisca. Noi vorremmo tornare a casa nostra», e dopo una lunga e meditata riflessione aggiunse: «premesso che la nostra casa sia ancora in piedi?» nel dir questo ruppe in un pianto accorato e si girò dalla parte opposta per non farsi vedere dal bambino. Ero impacciato e non seppi fare altro che porgerle un fazzoletto di carta. La donna si asciugò le lacrime e prosegui. «L’altro ieri ho telefonato con i miei genitori: due cannonate l’hanno mancata per pelo, i vetri sono andati in frantumi ma la nostra casa, grazie a Dio, è ancora in piedi. Non so se riuscirà a capirmi, le sembrerò, forse, misera di patriottismo: a me non interessa chi governa, a me interessa tornare a casa, riabbracciare mio marito, i miei genitori, i miei fratelli; mandare mio figlio a scuola, parlare la mia lingua». La donna soffriva, indubbiamente, per la lontananza del marito e dei famigliari, e come succede, alla gente semplice, le cose avvengono sulla loro testa, contro la loro volontà. Nel tentativo di infonderle coraggio, risposi: «Speriamo che il buon Dio abbia pietà dell’Ucraina e misericordia della Russia, faccia cessare le ostilità e aprire un tavolo per i negoziati. A Lui tutto è possibile».
Nella diocesi di Limburg ci sono 34 comunità di cattolici di altre madrelingua che provengono da più di 80 nazioni, dalla Corea al Brasile, dalla Slovenia alla Nigeria, dalle Filippine al Portogallo e dall’Italia naturalmente.