Maria, e a seguire

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Foto: Donne al sepolcro con l’angelo, mosaico V-VI sec. in S.Apollinare Nuovo, Ravenna

Duemila anni di missione femminile e un ruolo da riconoscere. Già nei Vangeli le prime missionarie. Pubblichiamo l’articolo uscito sul numero di febbraio di Donne Chiesa Mondo mensile de l’Osservatore Romano

Raffaella Perin*

Le donne sono state protagoniste della diffusione del cristianesimo nelle diverse culture in tutti i secoli dell’era cristiana. Tuttavia, nonostante il ruolo cruciale che le missionarie hanno rivestito, lo studio del loro contributo è stato a lungo trascurato, anche dagli storici. Le ragioni di questo oblio sono molteplici: dalla consuetudine di una storiografia fino a tempi recenti per nulla o poco attenta alla storia delle donne e del “cattolicesimo al femminile”, alle oggettive difficoltà di accesso agli archivi delle congregazioni religiose femminili per quanto riguarda la storia della missione moderna e contemporanea. Negli ultimi decenni, l’afferma zione sul piano internazionale della teologia femminista, la promozione dell’interdisciplinarietà, la diffusione dei gender studies e l’inclusione degli studi sul cristianesimo nella global history hanno stimolato nuove ricerche, pubblicazioni e progetti che hanno messo in comunicazione studiose e studiosi di diverse parti del mondo favorendo un approccio transazionale alla storia delle congregazioni femminili missionarie. Le prime missionarie si trovano già nei Vangeli. Giovanni conferisce a Maria Maddalena il mandato di testimoniare e annunciare la morte e la resurrezione di Gesù perché nel ricevere la prima apparizione del Risorto ella diventa la prima apostola di Cristo. Anche l’evangelista Luca affida a Maria chiamata la Magdalena, Giovanna, Susanna e a molte altre donne che seguivano Gesù e i dodici il compito missionario di assisterli con i loro beni e di condividere con loro il cammino del Nazareno. Alle origini del movimento cristiano la diffusione dell’evangelo fu opera di missionari itineranti, commercianti e uomini d’affari di un certo livello culturale e sociale, ma anche di donne facoltose.

La letteratura paolinica ci consente di riconoscere il ruolo delle donne missionarie che insegnavano, predicavano, fondavano chiese domestiche. Paolo si circonda di collaboratori e collaboratrici: a Febe attribuisce il titolo di diákonos, missionaria predicatrice nella chiesa di Cencrea; Priscilla e Giunia sono le donne di Aquila e Andronico con i quali formano coppie missionarie giudeo-cristiane, una comune prassi missionaria; l’apostola Tecla riceve da Paolo l’incarico di insegnare la parola di Dio e diventa una donna missionaria che predica e battezza. Le diaconesse delle Chiese siriache del III secolo che andavano nelle case per far visita e prendersi cura degli ammalati sono l’esempio della prima carità cristiana, in questo senso le prime forme di missione della Chiesa. A partire dal periodo tardoantico le donne furono escluse da qualunque forma di ministero, perciò la loro attività fu confinata alla preghiera, all’ascesi e più tardi al servizio e alle relazioni personali come modo di testimoniare il Vangelo.

Nell’Alto Medioevo fiorirono in tutta Europa monasteri femminili, alcuni di questi guidati da badesse particolarmente potenti. Lioba, monaca benedettina missionaria inglese, accompagnò il vescovo di Magonza Bonifacio nella missione evangelizzatrice della Germania, e questi la fece badessa di Tauberbischofsheim. Nel Basso Medioevo troviamo figure come quella del riformatore di Lione, Valdesio, che, nella sua predicazione itinerante ispirata alla vita apostolica delle origini non escludeva le donne, le quali nel valdismo primitivo furono impegnate nell’attività proselitistica. Se nei movimenti ereticali le donne potevano partecipare attivamente alla missione evangelizzatrice anche predicando il Vangelo per le strade e nelle piazze, l’Inquisizione condannò tale libertà per le donne. Nel 1298 Bonifacio VIII costrinse le religiose di qualsiasi ordine e congregazione presente e futura alla stretta clausura. Tale restrizione impedì a Chiara d’Assisi di seguire Francesco ma non di assumere l’e re d i t à della sua spiritualità dando vita ad una femminilizzazione del cristianesimo che si esplicò in forme nuove di vita religiosa legate alla cura e all’attenzione agli ultimi.

All’inizio del Cinquecento le Orsoline di Angela Merici incarnarono questo nuovo spirito missionario nell’insegnamento e nell’educazione delle fanciulle. Si aprì la strada a una missione svolta ai margini, oltre i centri del potere ecclesiastico, come avverrà poi in maniera più evidente nei territori extraeuropei. In età moderna l’afflato missionario della Chiesa europea fu fomentato dalla possibilità di cristianizzare le popolazioni sottomesse dalle principali potenze colonizzatrici. La Compagnia di Gesù, con lo speciale voto di obbedienza al papa circa missiones, contribuì a caratterizzare la missione come l’evangelizzazione dei non cristiani. Il Concilio di Trento ribadì la clausura per le monache e impose la residenza in convento per le religiose. Ciononostante, non venne meno la vocazione missionaria di alcune tra le numerose congregazioni femminili che sorsero proprio tra Cinque e Seicento. La monaca orsolina Marie de l’Incarnation Guyart fu la prima missionaria in Canada: partì nel 1639 per raggiungere i gesuiti tra gli indiani Huron e nel Quebec costruì il primo pensionato per insegnare ai figli dei colonizzatori e degli amerindi. Per le donne europee diventare missionarie fu anche un modo per sfuggire alle norme sociali che le costringevano a fare figli in matrimoni combinati, prendendosi il rischio di compiere lunghi e spesso tormentati viaggi, ma assaporando al contempo un’indipendenza impossibile in Europa.

Dopo la Rivoluzione francese le missionarie delle nuove congregazioni femminili soprattutto francesi raggiunsero il Nord America per aprire scuole per ragazze, fondare ospedali, prendersi cura dei malati e supportare gli immigrati. Nel 1807 Anne Marie Javouhey fondò le sorelle di Saint-Joseph de Cluny, congregazione missionaria che inviò le proprie religiose in Africa e nella Guiana francese. In Italia il primo istituto femmi nile missionario fu il comboniano Istituto delle Pie Madri della Nigrizia (1872); seguì poi la nascita delle Suore Saveriane (1895), delle Suore della Consolata (1910) e delle Missionarie dell’Imma – colata (1936). Nel 1880 Francesca Cabrini fondò a Codogno le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù sognando di evangelizzare l’Asia. Leone XIII la convinse a dirigersi verso gli Stati Uniti e nel 1889 si stabilì a New York per aiutare la vasta moltitudine degli immigrati italiani e degli orfani. Come scrisse madre Cabrini «Il mondo è troppo piccolo per limitarci a un solo punto. Voglio abbracciarlo interamente e raggiungere tutte le sue parti». Così le Missionarie del Sacro Cuore fondarono numerose missioni negli Stati Uniti, in Europa, nel Sud America, Africa, Australia e Cina. In Asia altre congregazioni francesi si lanciarono nell’ap ostolato missionario a Honk Kong, Indocina, Vietnam, Giappone, Filippine. In Inghilterra Elizabeth Hayes fondò le suore Francescane Missionarie dell’Immacolata Concezione di Maria e dopo il trasferimento a Roma nel 1880 stabilirono missioni in tutto il mondo, prestando servizio come educatrici e ospedaliere.

Il Vaticano II cambiò il concetto di missione: doveva riguardare tutta la Chiesa, uomini e donne, preti e laici. Il ruolo delle missionarie dovrà quindi essere riconosciuto

Tra Otto e Novecento ci fu una straordinaria migrazione di missionarie appartenenti a innumerevoli piccole e grandi congregazioni verso tutti i continenti con un notevole impatto in ambito educativo, assistenziale e umanitario in genere. Le missionarie, ed è forse questa la cifra che le distinse dai missionari, stabilirono una relazione diretta, quotidiana con le persone, spesso con le più fragili come donne e bambini. Furono mediatrici culturali nel processo di adattamento dell’annuncio e in seguito di inculturazione: Salesiane, Maestre Pie Venerini, Maestre Pie Filippini solo per citare alcune delle protagoniste. La libertà di movimento significò acquisire autonomia e allargare i margini di intervento missionario. Nel XIX secolo vennero create 400 congregazioni femminili in Francia, paese da cui nel 1901 partirono per la missione più di 10.000 religiose contro i 4000 religiosi maschi. Dalla seconda metà del secolo dalla Francia, dall’Italia e dalla Germania circa 590 congregazioni principalmente femminili si diressero verso i centri più urbanizzati e popolosi del Brasile come São Paolo e Rio de Janeiro. Il lavoro delle donne missionarie contribuì a trasformare culturalmente e socialmente le popolazioni che incontravano, tuttavia non solo in senso positivo. Le missionarie provenivano pur sempre da un mondo in cui gli sforzi umanitari ed educativi erano intesi come un’opera di civilizzazione di popoli considerati culturalmente meno sviluppati e di conseguenza i metodi coercitivi e violenti talvolta impiegati o pratiche come il maternage in Eritrea per italianizzare il popolo sottomesso al dominio italiano ebbero effetti negativi e in alcuni casi devastanti. Ma troviamo anche suore come le missionarie tedesche che diedero il loro apporto antischiavista in Togo e in Nuova Guinea o come quelle medico-missionarie il cui apporto fu particolarmente importante nei paesi dove le donne non potevano essere visitate da medici maschi. Nel 1925 la dottoressa missionaria austriaca Anna Maria Dengel fondò la Medical Mission Sister, che divenne nel 1935 la prima congregazione femminile dedicata esclusivamente alla medicina, dopo che Propaganda Fide revocò il divieto alle suore di praticare tale professione.

Dalla seconda metà del ‘900 si verificò un incremento nella richiesta di preparazione universitaria da parte delle missionarie. In Medio Oriente, dopo la nascita dello Stato di Israele e la creazione di campi profughi palestinesi nei paesi vicini, le missionarie che erano presenti nel Patriarcato latino di Gerusalemme dal secolo precedente svolsero un ruolo essenziale nell’assistenza medica e infermieristica. Nel corso della storia l’azione missionaria delle donne si è svolta dunque principalmente a servizio dei marginalizzati, nei campi dell’educazione, della cura, dell’assistenza medica, della carità. In questo modo ebbero la possibilità di avvicinare le persone, di entrare nell’intimità delle loro famiglie, di conquistare la fiducia della gente, aprendo così la via per l’evangelizzazione dei missionari uomini. Questa strategia missionaria fu adottata anche nel mondo protestante nell’ambito del quale troviamo molte coppie missionarie, marito e moglie, ma anche numerose donne nubili. La China Inland Mission (CIM), fondata nel 1865, spingeva le missionarie a addentrarsi da sole nelle province interne della Cina. Nel 1900 su 498 missionari protestanti della CIM la metà erano donne. Nel 1861 Sarah Doremus fondò la Women’s Union Missionary Society, una società missionaria protestante interdenominazionale che inviava in missione donne nubili.

Il Concilio Vaticano II cambiò il concetto di missione, che venne poi ripreso e ulteriormente chiarito nell’esortazione apostolica post conciliare Evangelii nuntiandi (1975) di Paolo VI. La missione come annuncio e come servizio nel nome di Gesù doveva riguardare tutta la Chiesa (popolo di Dio), uomini e donne, preti e laici. Papa Francesco nella Evangelii Gaudium ha sottolineato l’esigenza di una Chiesa in “uscita”, in cui la dimensione della cura e del dialogo con l’altro è cen e. Le missionarie sono dunque chiamate ad avere ancora un ruolo determinante che dovrà essere loro riconosciuto.

Raffaella Perin, insegna Storia del cristianesimo e delle chiese all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.