Amore. Variazioni sul tema – Conversazione con l’autore, Michele Illiceto, su amore e giovani

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Copertina del libro

Michele Illiceto insegna storia della filosofia alla Facoltà Teologica pugliese e da quarant’anni al liceo. È un seguito conferenziere, è autore di libri ed è intervenuto come relatore nel secondo incontro sul ciclo dedicato alle coppie (ora visibile su YouTube: udepdelegazione) Relazione come connotazione dell’umano. Con lui riprendiamo il tema dell’amore a partire da un suo libro Amore. Variazioni sul tema.

Da dove nasce la sua particolare attenzione alla tematica della relazione?

Nasce da tutti questi anni in cui ho lavorato coi ragazzi a scuola. Nell’età dell’adolescenza, che è l’età in cui tutto il mondo viene rimesso in discussione, la chiave di lettura dell’adolescenza è proprio la ridefinizione della propria identità, della propria soggettività in relazione a se stessi, agli altri, al mondo, ma anche alla propria identità sessuale, affettiva. È l’età in cui si passa dalla relazione esclusiva con i genitori alle relazioni con gli amici e poi si va alla ricerca di una persona particolare con la quale giocare tutta la vita. Il tema della relazione poi ha una valenza anche sociale, pensiamo alla fraternità al rapporto fra individuo e comunità. La relazione è una delle categorie antropologiche e teologiche cruciali per far passare il messaggio evangelico. Fondamentalmente Dio, è Dio in relazione, essendo comunità di tre persone, trinità, in relazione fra di loro. E poi c’è tutto il discorso dell’amore, non ci può essere un discorso sull’amore se non si parte dalla relazione.

A proposito il suo libro Amore. Variazioni sul tema è pensato per i ragazzi, nella delicata fase dell’adolescenza o è un libro che si rivolge a tutti?

Devo dire che essendo l’amore esperienza fondativa che ci accompagna dalla nascita alla morte, è un libro per tutti. Ho usato un linguaggio che possa essere compreso da tutti. Il libro fondamentalmente si approccia all’amore attraverso quattro registri: quello filosofico e antropologico, quindi perché l’uomo ama e perché ha bisogno di amare. Ma prima di amare ha bisogno di essere amato. Poi c’è l’approccio psicologico ossia il calare l’amore nei vissuti, nelle difficoltà della propria crescita umana, a livello evolutivo: infanzia, adolescenza, età giovanile, adulta e matura. Avendo poi personalmente un’esperienza di fede e di esperienza teologica, affronto l’amore all’interno dell’annuncio evangelico sempre però in dialogo con la ricerca filosofica. Nel Simposio Platone ci ha regalato una delle pagine più belle sull’amore. L’amore greco ha i suoi limiti e su questo innesto il Vangelo. Qual è la novità del Vangelo? Non è l’uomo che ama per primo ma è Dio che ama per primo. Anche quando l’uomo ama senza credere in Dio in fondo ha dentro Dio che ama in lui. Infine ci sono capitoli che confluiscono nella dimensione mistica perché parlo dell’amore nel registro della mistica soprattutto in quella di Sant’Agostino.

Lei pone queste domande: amore come cammino o stazione di servizio? Salvare l’amore o farsi salvare dall’amore? Intende dire che l’amore non è una relazione per salvare se stessi o per salvare l’altro?

Sono due capitoli chiave perché riprendo l’impostazione di Amoris Laetitia, l’amore non è una stazione di servizio. E non bisogna mai dare per scontato che l’amore ci sia. L’amore ci può sempre scappare di mano. Non è un istinto, non è spontaneo, l’amore è una scelta. A volte ci viene difficile amare. Non è perché è difficile amare che smetto di amare. L’amore è un cammino, è un percorso continuo. L’arte di amare di Eric Fromm ci ha insegnato tante cose. L’amore non è la soluzione dei problemi. Non è che dobbiamo trovare riparo per la problematicità della nostra vita. Salvare l’amore significa non pretendere che l’amore sia la soluzione ai miei problemi. Salvare l’amore significa liberare l’amore da tutte quelle false interpretazioni a cui l’amore oggi è sottoposto, liberarlo dalle strumentalizzazioni: dire che l’amore è godimento, è puro piacere o al riparo dal dolore è una fesseria.


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C’è il bisogno di essere amati ma anche il bisogno di amare…

Sfatiamo il mito di un falso cristianesimo. Ha ragione Nietzsche quando dice che il cristianesimo, quello che ha conosciuto lui, mi vieta di amare me stesso per amare l’altro. Per amare io devo amare innanzitutto me stesso. Il Signore non ci dice di amare di meno noi per amare di più Lui. Ci chiede di amare di più Lui per amare meglio noi. Amare se stessi significa amarmi con l’amore con cui mi ama Dio. Dio insegna ad amare me meglio di come io mi amavo prima di scoprire Dio. Amarsi in Dio significa amarsi anche quando io non mi piaccio. In un momento di fragilità, io rifiuto me stesso. Invece no, devo amarmi per quello che sono ora. Solo se so amarmi con gli occhi di Dio, potrò amare chiunque anche quando l’altro non mi ama. Purtroppo queste dinamiche non sempre passano nell’evangelizzazione.

È un punto fondamentale questo, in fondo è il comandamento di Gesù: ama il prossimo tuo come te stesso. È la base di qualsiasi tipo di relazione con gli altri.

Certamente, altrimenti l’amore diventa dipendenza: ho bisogno che tu mi ami così vieni a colmare un vuoto. Non è così. Certo che c’è la mancanza, noi siamo mancanti, ma non è una mancanza che mi deve rendere suddito, dipendente da te. L’amore sono come due pieni che si svuotano per completarsi. Il pieno non è l’autosufficienza dell’io autoreferenziale. Il pieno è la capacità di accettarmi nelle mani di Dio così come sono. Signore io so che tu mi ami. E io ti ringrazio per quello che sono, non ho bisogno di altro per questo mi dono.


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Come si inserisce il discorso mitologico di penia e poros (miseria e abbondanza) nella dimensione cristiana? Lei ha accennato al mito della nascita di amore nel Simposio di Platone da penia e poros? Lì Socrate che riporta il mito raccontatogli dalla sacerdotessa Diotima.

L’uomo ha bisogno di essere amato perché non basta a se stesso. All’origine dell’amore c’è la mancanza che è all’origine della relazione. Amore è figlio di penia e di poros, grande intuizione di Platone, che significano povertà e ricchezza. Amo perché non posso dare a me stesso ciò che solo un altro può darmi. Poros significa anche “la forza di fare il primo passo”. Allora amare per primo perché ho qualcosa da darti ma ti do anche il permesso di darmi qualcosa che non posso darmi. Nessuno può completarsi da solo. Lo dice anche Aristotele: nessuno basta a se stesso. Questa è la dimensione creaturale: io non basto a me stesso perché fatto da Dio, solo Dio può dare a me ciò che manca a me. Ma Dio me lo dà attraverso la donna, attraverso il maschio. Qui è bello il discorso della creazione. Dio conduce la donna all’uomo perché si è reso conto che l’uomo non è bene che fosse solo.

Si fraintende la mistica come esperienza di allontanamento dal reale. Invece non è così. La mistica è esperienza per abitare profondamente la realtà. Che cosa intende quando dice che l’ultima parte del libro è dedicata alla mistica dell’amore?

Mi sto occupando molto di mistica anche con il mio prossimo libro. La mistica che cos’è? È quando arrivi a un punto in cui non puoi dire più con le parole ciò che vivi dentro. Mistica in greco significa chiudere gli occhi e chiudere la bocca perché non ci sono parole per esprimere la bellezza, la grandezza, la sublimità e allora si deve soltanto vivere il silenzio della parola. Significa anche avere raggiunto una tale condizione di liberazione da tutto ciò che ti appesantisce che sei anche capace di sopportare il peso dell’assenza dell’amato. La mistica nella coppia che cos’è? È il completamento anche attraverso la vita sessuale che è un atto mistico, è una mistica della carne; qui c’è un bel libro di Fabrice Hadjadj, Mistica della carne. L’atto sessuale è dire con il linguaggio corporeo la bellezza dell’unione che non è fusione, ma è unione nella dualità, è un atto mistico, non lo puoi dire, ti abbandoni, allora diventa contemplazione. Non è possesso: l’amante non possiede l’amato.

Lei parla anche di indignazione, ma che cosa c’entra con l’amore?

L’amore non è soltanto amore per la bellezza. Platone nel Fedro ci dice che l’amore è anche per il giusto. Non puoi amare ciò che non è giusto e di fronte al non giusto non puoi rinunciare a ribellarti affinché la giustizia sia possibile. L’indignazione è il giusto rifiuto per ciò che occulta la bellezza della giustizia. Allora l’indignazione, che non è un atto di violenza, richiede coraggio, scriveva Platone. Il male mi indigna per questo non gli concedo spazio e lo combatto.

Parlando di bello, buono e vero passiamo da una dimensione di relazione a due a una che riguarda la collettività, l’essere insieme in quanto società.

Certamente, altrimenti è solo egoismo a due, io e te e il mondo fuori. Si deve poter dire alla donna che ami, all’uomo che ami: “io in te amo il mondo intero”. Perché poi come coppia diventiamo un soggetto politico, sociale. E questo contagia, perché l’amore è effusivo.

Come reagiscono i ragazzi a questi discorsi? Spesso gli adulti sono molto veloci a giudicare i giovani.

Sono 40 anni che lavoro con i ragazzi. L’incomunicabilità fra adulti e giovani non è mai colpa dei giovani. Siamo noi adulti che non sappiamo trovare le parole giuste. Le parole sono come chiavi per aprire i cuori dei ragazzi che sono degli scrigni chiusi che contengono tesori immensi. Il problema è che usiamo parole che non aprono. Se troviamo invece le parole giuste, l’empatia giusta, riusciamo a tenere alto il discorso. C’è una fame di senso, una fame di verità che fa spavento. Potremmo avere le chiese piene di giovani se avessimo adulti capaci di comunicare e decostruire tutte le banalità e fesserie che sentono in giro. Come Gesù che con le parole spogliava le ipocrisie e le stupidità del suo tempo.