Intervista a Georg Feller, in pensione dopo 28 anni di servizio nella comunità italiana di Bad Homburg – Georg Feller, responsabile della pastorale della MCI di Bad Homburg e coordinatore zona centro della Delegazione, va in pensione dopo 28 anni di servizio nella comunità che ha sempre vissuto come una “grande famiglia”. Nell’intervista svela la sua passione per la musica, per il Brasile, per la lingua italiana imparata a Napoli e per una chiesa che vada incontro alla gente.
Da tre giorni ero a Napoli per imparare l’italiano e sconfortato ho chiamato mia moglie dicendole “Non imparerò mai questa lingua”. Avevo paura di sbagliare, di mescolare francese, portoghese… Ma dopo qualche giorno ho cominciato a parlare, ho rotto il ghiaccio e ho capito che avrei potuto farcela a lavorare in una comunità italiana.
Era il 1993 Georg Feller aveva appena accettato l’incarico di responsabile della pastorale nella comunità cattolica italiana di Bad Homburg. L’allora missionario don Giacomo lo aveva mandato nel Sud Italia a imparare l’italiano.
Ero in treno, di notte, con tanta gente e l’odore di aglio. La prima parola che ho imparato era sciopero, era infatti un periodo di scioperi. Sempre durante quella telefonata con mia moglie mi disse che avevamo trovato un appartamento. La famiglia poteva così restare unita. Avevamo due figli, negli anni a seguire ne sarebbero arrivati altri due.
A 38 anni sei diventato referente per la comunità italiana, hai fatto un salto nel buio perché non conoscevi la lingua italiana, però eri stato in Francia e in Brasile, avevi una certa predisposizione per l’internazionalità. Che esperienza hai fatto in Brasile?
Sono stato tre volte in Brasile da mio zio missionario francescano e questa esperienza ha fatto nascere in me la passione per un altro tipo di vita di comunità. Era il periodo della teologia della Liberazione, ho visto mio zio entusiasta. Lui stava vicino a Salvador de Baia andava dalle comunità sparse sulle isole vicine con una piccola barca, portava un registratore a cassette e tutti cantavano con voce forte, si vedeva la vivacità delle comunità. Era bellissimo. Mi ricordo un canto “Siamo noi il popolo eletto”, si vedeva la gioia nella semplicità e che la chiesa dava voce ai più poveri. Tutto questo non è paragonabile a una comunità tedesca. Qui la fede è troppo verkopft, cerebrale, secondo me. Nei paesi del sud invece c’è molta più anima e sentimento.
La tua è una posizione privilegiata perché conosci realtà differenti di comunità: tedesca, sudamericana, italiana. Che cosa ti ha dato lavorare per la comunità italiana?
Mi sono sentito parte di una grande famiglia. Quella della missione è una vita in diaspora perché il territorio è grande e la maggior parte delle persone viene praticamente dalle città vicine. L’espressione di vita e di fede è diversa da quella di una comunità tedesca, è più di cuore. Certamente la storia della Germania con la chiesa evangelica ha creato un modo diverso di vivere la fede mentre gli italiani hanno ancora un modo più legato alla tradizione e con più sentimento. Faccio un paragone: la musica di Bach è bellissima, non c’è niente da dire, ma sentire certe composizioni francesi, per esempio di Léon Boëllmann o di Olivier Messiaen è tutt’altra cosa, è una musica di sentimento, per esempio “Prière a Notre-Dame” di Boëllmann è bellissima.
È il secondo riferimento che fai alla musica. Suoni uno strumento?
Sì, l’organo e il pianoforte da quando avevo sette anni, prima con mia zia e a 14 anni ho cominciato a suonare l’organo con un’altra insegnante. Allora si poteva studiare teologia e musica all’università di Bonn. Ma avrebbe significato fare cinque ore al giorno di esercizi al pianoforte e questo per me era troppo perché mi interessava la formazione musicale ma solo come hobby. Ho fatto quindi in due anni l’esame C-Schein e mi sono iscritto a filosofia e teologia a Paderborn. Suono in chiesa solo quando c’è bisogno. La musica durante la celebrazione deve stimolare il carattere della liturgia ed essere adatto al momento della liturgia.
Si diceva della comunità italiana. Una volta la preparazione ai sacramenti era diversa. Come è cambiata negli anni?
Quando sono arrivato qui la preparazione alla Prima comunione durava quattro anni, dalla prima alla quarta elementare. Fare come si faceva una volta non è più possibile per il semplice fatto delle distanze, la vita quotidiana delle famiglie è cambiata. Tuttavia ho qualche perplessità sulla preparazione che fanno alcune comunità tedesche quando preparano i bambini alla Prima comunione in cinque sabati senza sottolineare l’importanza della frequenza della messa. Alla fine non imparano il Padre nostro e non sanno quando fare il segno di croce.
E la preparazione al matrimonio, so che ci tieni molto?
Sono soddisfatto perché abbiamo trovato una modalità che corrisponde alla situazione di vita delle coppie. Prima della pandemia si organizzavano tre giornate, tre sabati dalla mattina al pomeriggio. Era importante pranzare qui tutti insieme, perché è dallo stare a tavola insieme che vengono fuori le cose più interessanti. Le coppie sono i protagonisti del corso e non il relatore, come si faceva invece negli anni ’90 quando si invitava a parlare un medico, un avvocato. Per fare che cosa? Il giurista per dire come funziona il divorzio in Italia e in Germania? Che senso ha? E il dottore, per spiegare la biologia a coppie che già convivono?
La pastorale per le comunità di altra madrelingua è un tema delicato e attuale. La Commissione migrazione della Conferenza episcopale tedesca ha avviato un processo di revisione delle linee guida stilate nel 2003. Le diocesi tutte stanno anche riorganizzando la posizione delle comunità di altra madrelingua nelle diocesi e nelle parrocchie. Da quello che osservi in che direzione si sta andando?
Per quello che vedo in quasi tutte le diocesi si cerca di mettere le comunità di altra madrelingua nella parrocchia locale, che diventa una sorta di super parrocchia mentre la comunità d’altra madrelingua diventa come una ortsgemeinde, una comunità locale sine cura animarum. Mi ricordo benissimo che quando avevano creato in passato parrocchie più grandi con le ortsgemeinden, queste si lamentavano perché tutto veniva accentrato nella parrocchia principale mentre loro perdevano autonomia. Temo che questo possa succedere anche alle comunità di altra madrelingua che diventerebbero “das fünfte Rad am Wagen” la quinta ruota del carro, cioè qualcosa di inutile.
Conosci i bisogni delle comunità madrelingua e conosci la struttura mentale della chiesa tedesca. Che cosa si potrebbe fare secondo te per realizzare un modello meno gerarchico e più orizzontale?
Ho sempre detto ai responsabili di Limburg “Fate la formazione dei preti e anche dei collaboratori in modo che possano essere veramente dei teamplayer”. Serve personale qualificato che abbia non solo in testa ma anche nel cuore la collaborazione con le comunità di altra madrelingua, dove la gerarchia non sia importante e dove non ci sia solo il parroco tedesco a decidere tutto. Il primo passo di questa formazione è la reciproca competenza linguistica: sia da parte dei parroci tedeschi, che imparando un’altra lingua possono comprendere meglio la realtà delle comunità di altra madrelingua; ma anche i missionari dovrebbero conoscere bene la lingua tedesca per poter partecipare attivamente ai discorsi in atto nei team pastorali. La conoscenza linguistica consente inoltre anche di poter fare sostituzioni quando manca un sacerdote. Infine per le comunità di altra madrelingua è una chance entrare nelle ortskirche, perché sarebbero maggiormente presenti nella struttura della chiesa locale.
In un team pastorale i componenti devono essere allo stesso livello, prendere decisioni insieme. Lo si vede anche nel cammino sinodale, le comunità di altra madrelingua lo vedono in modo scettico perché sono più tradizionali mentre qui è un dato di fatto e bisogna trovare un modo comune, un cammino da fare insieme.
Quale può essere il punto di incontro per superare precomprensioni e pregiudizi?
Si assume spesso acriticamente che “loro sono così…“. Una persona o un gruppo vengono già timbrati senza conoscerli, con questo atteggiamento non si può andare avanti. Per questo insisto nel dire che conoscere la lingua aiuta a capire qualcosa in più, non solo ma arricchisce il proprio bagaglio. Pensiamo per esempio alla bella parola italiana “benedire”, parlare bene che dice molto di più del tedesco segnen. Dire bene, parlare bene, sarebbe già un grande aiuto per vivere il Vangelo.
E poi?
Il Vangelo di Marco 6, 7-13 (domenica, 11 luglio). Andate, andate via in due, non portatevi niente solo i sandali, neanche lo zaino. Questo è il modo per trovare la gente mentre noi siamo in ufficio, aspettiamo la gente, e questo per me non è la missione, la missione per me sarebbe andare dalle persone, non aspettare, e così ritrovare la gioia nella semplicità.
Quando andrai in pensione, che cosa farai?
All’inizio andrò a trovare persone, vecchi amici che non ho più visto da tanti anni, alcuni che sono stati con me in Brasile, altri in Italia.
Sempre in cammino, Georg. Tanti auguri.