A colloquio con il teologo morale Antonio Autiero in vista delle imminenti elezioni politiche – Sulle prossime elezioni politiche in Italia (25 settembre) il Papa, come vescovo di Roma, e tutta la conferenza episcopale italiana mantengono una certa distanza dal dibattito politico e fanno ventilare una dichiarata neutralità, rispetto alle opzioni proposte dalla campagna elettorale. D’altra parte invitano i cattolici a richiamarsi ai valori cristiani nella scelta elettorale. Ma guardiamoci intorno: si è chiuso a fine agosto a Rimini il tradizionale Meeting di Comunione e Liberazione (CL), movimento che nelle sue intenzioni vuole interpretare la testimonianza del Vangelo attraverso l’impegno politico, pubblico e imprenditoriale. Il Meeting ha dato spazio a candidati politici di diversi schieramenti, ma non ha dato indicazioni elettorali. In realtà non esiste più in Italia un partito, come poteva essere fino agli inizi degli anni ’90 la Democrazia Cristiana, che intenzionalmente facesse da bacino dei voti dei cattolici. La galassia politica dei cattolici italiani, nonostante alcuni goffi tentativi (p.es. la campagna “Credo” di Salvini) è varia e non è indirizzata verso questo o quel partito. Recentemente nelle ultime settimane, alcuni quotidiani nazionali hanno tematizzato il rapporto fra cattolici e politica: “Valori non politica: quella neutralità della Chiesa voluta dal Papa” (Claudio Tito, la Repubblica 21 agosto, 2022). Ne parliamo con Antonio Autiero, professore emerito di teologia morale all’università di Münster.
Come leggere allora il segnale della neutralità?
Questa domanda è davvero importante e Lei fa bene a porla all’inizio delle nostre riflessioni. Infatti, il richiamo alla neutralità fa da spartiacque tra un atteggiamento del passato e quello che oggi si va comprendendo come una soluzione più adeguata a guardare ai rapporti tra sfera religiosa e sfera politica. Noi veniamo – soprattutto in Italia, ma non solo qui – da una lunga tradizione di collateralismo tra trono e altare, una sorta di reciproca alleanza di protezione e vantaggi che si andavano a questuare. In questo quadro erano prevalentemente i vertici (sia politici che religiosi) che negoziavano, dando poi istruzioni precise, talvolta perentorie ai loro sudditi. L’effetto deleterio di questo modello era anche che proprio i sudditi (i fedeli, gli iscritti ai partiti etc.) venivano lasciati in una condizione subalterna, espropriati della capacità critica di porsi domande, di fare valutazioni, di compiere scelte mature e autonome
E tutto questo, secondo Lei, oggi non c’è più?
Evidentemente i processi evolutivi di consapevolezza, ma anche la misura dei guasti provocati da questo modello impongono oggi un approccio nuovo che va circolando anche nella società e nella Chiesa italiana da qualche decennio. Non è sbagliato riferire questo approccio con la figura che il cardinal Martini (di cui proprio in questi giorni ricorre il decimo anniversario dalla morte) chiamava “scelta religiosa”, in un certo senso distante da quell’atteggiamento di militanza politico-partitica esplicita e diretta a cui altre voci della Chiesa (il periodo “ruiniano” in Italia ne fa fede!) incitavano con vigore. Questa “scelta religiosa” non era un rintanarsi nello spazio del sacro, sottrarsi al mondo e alle sue vicende, accarezzare utopie, ma senza lasciarsi coinvolgere. Piuttosto era il serbatoio di ispirazione per come nutrire la volontà di partecipazione da parte di ogni soggetto, sulla base di una sempre più matura comprensione del mistero della vita e della sua complessità, ma anche di una migliore informazione sulle visioni politiche, i progetti di società e i programmi concreti per generare umanità, realizzare giustizia, incrementare solidarietà.
Quindi neutralità è una cosa ben più complessa e ricca?
Sì. Proprio così. Io spero che chi fa anche oggi ricorso e appello alla neutralità non abbia in mente una sorta di qualunquismo, ma mastichi parole giuste e pensieri veri di come prendere sul serio la capacità delle persone, anche dei credenti, di fare scelte consapevoli, non in base al dettato delle etichette ideologiche dei partiti, ma in forza della capacità di convincere che le scelte prospettate siano ispirate dalla passione per il bene comune e dall’intelligenza di attuarne le risorse nella concretezza delle situazioni da vivere.
Leggi anche: L’appello al voto della Conferenza episcopale italiana
A ben capire qui si apre lo scenario sui valori, giusto?
Giusto. Un’idea di società, ma in generale una visione di mondo e di vita, rimanda un quadro di valori che si ritengono importanti e per i quali vale la pena spendersi. Ma capiamoci bene: anzitutto i valori non nascono dal nulla, ma sono il portato di un’esperienza di saggezza condensata nella cultura di un popolo. Essi vengono colti e coltivati da persone e gruppi che responsabilmente si pongono la domanda sul senso della vita e sulle condizioni concrete per poterla riconoscere nella sua dignità e nella sua umanità. Dunque, non basta fare la lista dei valori che chiamiamo “cristiani” e che pensiamo siano la fonte di principi non negoziabili. L’appello ai valori va di pari passo all’appello alla responsabilità di riconoscerli, alla capacità critica di interpretarli e alla volontà morale di realizzarli.
Pensando alle recenti encicliche di papa Francesco, si può dire che esse ci aiutano a fare questo lavoro di comprensione dei valori?
Senza dubbio. Guardiamo soprattutto alle due enciclica Laudato Si‘ (2015) e Fratelli tutti (2020). Là papa Francesco ci mette in mano un compasso, una bussola, per riconoscere che la tavola dei valori non si ferma alla sfera della nostra vita individuale o del mio vicino di casa, ma tocca l’intera famiglia umana e l’universo come casa della vita. Il Vangelo esplicita questi fondamentali valori di solidarietà, di responsabilità ecologica e di scelte di inclusività. E le sembra poco prendere questa bussola, per orientarsi nella comprensione dei programmi politici delle differenti proposte dei partiti?
Mi lasci finire con un’ultima domanda: cosa vuol dire “cattolico”, quando si applica questo aggettivo a un valore?
Abbiamo troppo a lungo assegnato al termine “cattolico” il senso di una esclusività e di separazione dal tutto il resto, una sorta di orto concluso, cittadella arroccata. E abbiamo prodotto un quadro di dicotomia tra sfera spirituale e presenza al mondo e alla storia. Oggi capiamo di più che “cattolico” ha a che fare con afflato universale, responsabilità per promuovere un mondo più umano, in cui le storie di vita di ognuno e i diritti che le devono tutelare siano riconosciuti per tutti. Misurare su questa lunghezza d’onda non solo le intenzioni, ma anche le potenzialità reali dei singoli programmi politici ci può ben aiutare – anche come cattolici – a prendere parte attiva al futuro destino del nostro Paese.
Leggi anche: Martini e il suo „testamento“