Georg Bätzing. Il ricordo dei defunti: cultura dell’attesa

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Resurrezione dei corpi, Michelangelo Buonarroti, particolare del Giudizio universale, Cappella sistina, Vaticano. Fonte: commonscathopedia.org

„Il ricordo dei defunti è per me… molto più che cultura della memoria, è cultura dell’attesa“, così si è espresso il vescovo Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca, nell’omelia per il giorno dei defunti nel duomo di Limburg.

Cari fratelli e sorelle nella fede,

«Credo nella resurrezione dei morti e nella vita eterna. Amen».

Il Credo apostolico culmina in queste parole, come se tutta la drammaticità dell’impegno di Dio per la creazione e per il bene di ogni singolo essere umano trovasse in esse il suo obiettivo. Ed è proprio così. I più anziani tra noi ricordano spesso ancora vividamente la prima domanda del catechismo che ci veniva posta durante le lezioni: «Perché siamo sulla terra?». E la risposta era: «Per amare Dio e servirlo e così ottenere la beatitudine eterna in comunione con Lui». Il fatto che questa risposta fosse molto sintetica e trascurasse il valore intrinseco della vita umana nella ricerca della realizzazione, della soddisfazione e della felicità, di relazioni positive e della maturazione anche attraverso le crisi, non toglie nulla al potere orientativo della prospettiva dell’obiettivo. Vivere in eterno…

L’idea di dover morire è seria e ha qualcosa di opprimente. Chi quest’anno piange la perdita di persone care, sarà toccato anche dall’inevitabilità della propria morte che metterà fine a tutti i progetti e i desideri. Ma onestamente: l’idea di non morire non sarebbe ancora più opprimente? Perché allora dovrebbe avere valore alzarsi presto la mattina e affrontare il giorno, se semplicemente si continuasse così all’infinito.
Molte persone si sono rassegnate alla prospettiva che la vita qui sulla terra abbia una fine – e che va bene così. Per questo è importante vivere qui e ora in modo significativo. Questa vita è l’unica possibilità. E ciò non significa affatto che tutti vogliano ora godersi il proprio tempo nel puro edonismo, e godere la vita; al contrario: anche se la beatitudine eterna non fa parte della visione del futuro di queste persone, molte vivono in modo responsabile e attento al futuro.

“… e la vita eterna”: che idea ne ho? Cosa cerco? Si dice che il nostro venerato vescovo Franz Kamphaus, negli ultimi anni della sua vita, ascoltasse spesso con grande devozione la cantata di Bach “Ich habe genug” (BWV 82), che racconta della vecchiaia di Simeone. Alla domanda se anche per lui fosse abbastanza, negli ultimi giorni di vita avrebbe annuito in segno di assenso. Non perché stanco e sazio della vita, e rassegnato alla fine imminente, ma piuttosto perché soddisfatto e fiducioso nella convinzione che: “Mi stanno aspettando”. Che gioia rincontrare tutti coloro che mi hanno plasmato e arricchito la mia vita, che mi hanno preceduto nella vita e nella morte.
La grande comunità riconciliata, dove ci abbracciamo e gioiamo nel rivederci, per me è parte integrante della “vita eterna” . E vedere Dio nel suo amore e nella sua grandezza infiniti, anche questo mi rallegra; la fede la chiama “visio beatifica”, una visione che rende beati, che lascia dietro di sé domande e dubbi e realizza ciò che ha intuito e desiderato nella fede.

Vedere Dio, me lo immagino così: mozzafiato, nient’affatto noioso; non statico, ma puramente dinamico; non monotonia  stantia, ma grande avventura; soprattutto non orientato al rendimento né calcolatore, ma sempre nuovo e gratuito. Ecco perché, immagino, coloro che hanno già il privilegio di vivere nella perfezione sono essi stessi generosi e „pronti ad aiutare i bisognosi terreni, sicuramente con doni eterni, forse anche temporali, per riaccendere il coraggio di aspirare alla vita eterna nonostante tutto, dandoci un assaggio di ciò che ci aspetta“ (Hans Urs von Balthasar, Credo. Meditationen zum Apostolischen Glaubensbekenntnis. Introduzione di Medard Kehl SJ Friburgo 2022, 90). Da questo punto di vista per la mia fede personale mi sembra più appropriato ciò che dice il Credo quando parla della vita eterna: „Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo  che verrà“. Sì, c’è ancora qualcosa, un mondo intero, e sarà meraviglioso.

Il ricordo dei defunti è per me molto più che una cultura della memoria, è una cultura dell’attesa. Quando visitiamo le tombe, preghiamo per i nostri cari e li ricordiamo durante la Santa Messa, queste sono già conseguenze della fede, perché crediamo che la morte non possa separarci definitivamente e che i nostri defunti abbiano già raggiunto il mondo a venire. Anche Franz Kamphaus ha riflettuto su questo tema nel suo ultimo libro, e vorrei concludere con i suoi pensieri ispiratori:

“Indimenticabile”, diciamo spesso, e lo scriviamo, e alla fine lo incidiamo sulla lapide: “Indimenticabile!”. Una parola importante. Troppo importante per noi, vero? Sappiamo bene quanto siamo smemorati e con l’avanzare dell’età lo diventiamo sempre di più. La nostra memoria si indebolisce. Cosa sarebbero i morti se vivessero davvero solo nella nostra memoria e nei nostri ricordi?

Indimenticabile: solo uno può dirlo: Dio! Egli non dimentica i morti, li mantiene vivi nella sua memoria; loro stessi, non solo qualcosa di loro, non solo la loro volontà e i loro ideali, non solo ciò che hanno realizzato, ma loro stessi. Sono infatti a sua immagine. Dio garantisce che la loro vita non si spegne come un razzo esaurito nello spazio, ma che rimane. Ha impresso il loro nome nella sua memoria insieme al nome di Gesù Cristo.

Questo ci dà speranza per i defunti. Per questo uniamo il nostro ricordo dei morti alla memoria di Gesù Cristo nella celebrazione dell’Eucaristia. Negli ultimi decenni è cresciuta la consapevolezza che non la celebriamo da soli, ma insieme e gli uni per gli altri. Questo significato sociale dell’Eucaristia non si esaurisce con i vivi. La tanto invocata solidarietà sarebbe solo parzialmente conquistata se si fermasse davanti ai morti. In questo la fede dimostra tutta la sua forza sociale, chiamando i morti per nome e conservandoli nella memoria. Signore, ricorda coloro che „ci hanno preceduto nel segno della fede“, ricorda tutti coloro ”di cui nessuno conosce la fede tranne te“. La Chiesa continuerà a pregare così anche quando noi saremo già da tempo tra i morti“ (Franz Kamphaus, Der Unbekannte aus Nazaret. Inspirationen zum Markus-Jahr, Ostfildern 2023, 284 f.).

Qui l’omelia del vescovo Georg Bätzing con la commemorazione del vescovo Dr. Franz Kamphaus nel primo anniversario della morte. 
2025-177a-Allerseelen-Predigt-Bi.-Baetzing.pdf