„È soltanto l’aurora“ – Riflessioni della teologa Marinella Perroni sul Vaticano II

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Concilio Vativano II ©Di Lothar Wolleh - commons.wikimedia

Quali novità ha portato il Concilio Vaticano II, in particolare per le donne? Riportiamo per gentile concessione della redazione di Uomini e profeti l’intervento della teologa e biblista Marinella Perroni alla puntata del 15 ottobre della celebre trasmissione radiofonica di Rai Radio Tre. Ricordiamo che all’inizio di quest’anno Marinella Perroni, emerita docente al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, fondatrice del CTI, Coordinamento Teologhe Italiane, aveva curato e condotto insieme al teologo Andrea Grillo tre puntate di Uomini e profeti dal titolo “Un sinodo per cambiare” (Un sinodo per cambiare | Delegazione-mci)

Che eredità lascia il Concilio Vaticano II rispetto al tema della questione femminile?
Ci tengo a dire, prima di tutto, che le donne non vogliono più essere una questione. Ci sono tante questioni nel mondo, per esempio, la guerra, l’incapacità di costruire una giustizia per tutti, queste sono veramente delle questioni. Le donne, no, non lo sono. Le donne oggi sono semplicemente una realtà, intessuta con tutte le realtà del mondo e quindi anche della Chiesa. Il Concilio si era aperto con un discorso, forse meno suggestivo del “Discorso della luna”, ma estremamente importante per la Chiesa che si riuniva, quello che comincia con l’espressione Gaudet Mater Ecclesia (Gioisce la madre Chiesa). Alla fine di quel discorso Giovanni XXIII usa un’espressione estremamente suggestiva, “tantum aurora est”, è soltanto l’aurora. A me sembra che all’interno di un processo di ricezione del Concilio difficile, tormentato, breve per la biografia della Chiesa, ma lungo per la nostra biografia di singoli credenti, quel Concilio per le donne sia stato veramente un’aurora. Non tanto e non soltanto perché la Chiesa cattolica per la prima volta ha accettato all’interno di un Concilio la presenza di alcune donne. Dovevano rimanere in silenzio, è vero, ma c’erano. Soprattutto perché a partire da questo Concilio si sono aperte in Italia anche per le donne le facoltà di teologia, e per di più pontificie, il che ha rappresentato veramente una rivoluzione gentile, di quelle che non fanno rumore per il mondo, ma che invece per le donne è stata fondamentale, perché è stata loro riconosciuta la possibilità di acquisire gli strumenti per diventare sapienti. Sapienti in teologia. Le donne sono sempre state sapienti in tante cose, ma sapienti in teologia era stato loro precluso. Da lì è cominciata una storia nuova.

La teologa Marinella Perroni, cofondatrice del CTI, Coordinamento Teologhe Italiane di cui è stata presidente

Questo che è stato un inizio dove può arrivare secondo Lei?
È difficile da dire. Per i credenti, per la Chiesa c’è una presenza, un lievito all’interno della storia che fa la differenza, è la fedeltà al Vangelo, è il Vangelo, ma noi non sappiamo dove ci porterà. Quindi c’è un inedito, che nessuno di noi può conoscere, o può preventivare. Va però detto che ormai indietro non si torna, cioè non è più possibile che a quell’aurora, a cui è succeduta un’alba adesso non segua un giorno che inevitabilmente sta ponendo degli interrogativi alla Chiesa. Non sono le donne la questione, ma le questioni che la sapienza teologica delle donne sta ponendo alla Chiesa cominciano ad essere urgenti, pressanti. Chiedono, forse impongono una riflessione e anche un inizio di risposta.

Fra i grandi temi che si sono imposti già allora era il rapporto diverso degli esseri umani con la vita, con la natura, con l’ambiente. Anche alcune encicliche di Papa Francesco vanno in questa direzione, ma in qualche misura in quel Concilio Vaticano II c’erano i semi per cominciare a impostare un rapporto diverso?
Forse il Concilio con l’espressione chiesa dei poveri fa un deciso passo in avanti. La Chiesa non si mette dalla parte di qualcuno, ma la Chiesa è la chiesa dei poveri, come non si mette dalla parte delle donne ma è la Chiesa delle donne. Credo che in questo accenno, il Concilio certamente avvia un processo enorme di ribaltamento, anzi di più ribaltamenti. In questo avvio c’è tutto il segreto di un Vaticano II ancora da sviluppare, da scoprire. Se oggi Giovanni XXIII scrivesse di nuovo una Pacem in Terris, riconoscerebbe come un segno dei tempi eclatante la situazione del pianeta. La Chiesa non si mette “dalla parte di”, non presta una gentile e condiscendente attenzione al pianeta di tipo paternalistico, ma sente di esserne assolutamente parte, è immersa in esso. Perché anche il paternalismo, lo dico riportando il discorso sulle donne, è espressione del patriarcato, e potrebbe esserlo allora anche come atteggiamento nei confronti del cosmo, della natura, del mondo, della storia, degli esseri umani. Se la Chiesa non libera sé stessa da patriarcalismo e dal clericalismo, che è esattamente questa nobile attenzione per qualcuno che mi è esterno, che fa? (Questa domanda l’ho messa io perché la frase ipotetica era rimasta senza principale). In fondo è questo il senso della pastorale, capire di essere dentro. Secondo me oggi Papa Francesco l’ha dimostrato con la Laudato si’, che appunto va nella linea delle grandi encicliche che si sono occupate di una chiesa nel mondo perché del mondo, come la Pacem in terris e la Populorum progressio. Penso che la questione fondamentale che il Vaticano II ha in qualche modo avviato è proprio questo cambio di prospettiva, imparare a sentirsi parte del creato.

In rapporto alle nuove generazioni, c’è un distacco, cosa che rende difficile oggi cogliere i segni dei tempi. Nel Concilio Vaticano II ci sono i modi per ridurre questa distanza o questa distanza è meno grande di quanto sembri?
Vorrei mettere questa sua domanda all’interno di un orizzonte che riprenda il tema della verità. Nel Vangelo di Giovanni c’è un’affermazione che purtroppo i cultori della verità dimenticano troppo spesso. Gesù dice ai suoi discepoli che il Risorto avrebbe donato loro lo Spirito e sarà lo Spirito a condurre a tutta la verità. Cioè c’è tutta una verità, c’è una “verità tutta intera” che ci precede che è sicuramente molto, molto più avanti di noi e che sta alla fine e sarà definitiva. E noi, che viviamo il tempo della Risurrezione, il tempo dello Spirito, veniamo condotti piano piano ad avvicinarci. Ho la sensazione che ci manchi quest’idea, che ogni generazione si avvicina alla verità per quel che può, per quello che lo Spirito le consente e, per quanto è disponibile alla voce dello Spirito. Quindi anche le giovani generazioni saranno loro a dire una parola sulla verità, anche se sono di un’ignoranza ormai totale di qualsiasi cosa noi chiamavamo dottrina o catechismo. Io credo che forse sono generazioni a cui lo Spirito suggerirà un tempo di silenzio, che farà bene perché abbiamo stra-parlato per troppi secoli. Un tempo di nuove parole? Non lo so, ma ho la sensazione che veramente siamo gente di poca fede, perché io sono convinta che questa generazione dirà, la sua parola, anzi la sta già ampiamente dicendo, la sta urlando. E se fosse una parola di rifiuto non sarebbe forse una parola di verità? Domandiamoci perché e se non c’è in questo rifiuto un passo in avanti verso la verità. Questa generazione percepisce molto più di noi che così non può continuare il rapporto tra gli umani e l’universo, il pianeta, la terra. Credo che questa parola sulla creazione, su quella che tutti, uomini e donne, chiamiamo casa comune, chiamiamo terra, è in mano alle nuove generazioni. Noi possiamo solo dire che la aspettiamo, che è quello di cui abbiamo bisogno, e che sarà una piccola parola di salvezza, poi ne verranno altre. Perché le parole di salvezza nel tempo dello Spirito sono consegnate di generazione in generazione.


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