„Ma chi siete?”, chiede una turista italiana nella cattedrale di Palermo, incuriosita da una celebrazione eucaristica così partecipata, presieduta addirittura dall’arcivescovo Corrado Lorefice e animata dai canti del gruppo etnico, Arcobaleno. “Lavoriamo nelle Comunità cattoliche italiane in Germania e siamo qui a Palermo per un convegno”, le rispondo. “Ah, non sapevo che ci sono queste comunità”.
- di Paola Colombo
Non lo sapevo, non vi conoscevo. Come questa turista anche noi al convegno non ci conoscevamo bene. Curiosità e interesse di conoscersi sono stati la cifra del Convegno nazionale, tenutosi a Palermo dal 3 al 6 ottobre, organizzato dalla Delegazione MCI in Germania in collaborazione con la Fondazione Migrantes e la Conferenza episcopale siciliana (CESi). I vescovi siciliani, le laiche e i laici siciliani non conoscevano la realtà delle Comunità cattoliche italiane in Germania, come pure le relatrici e i relatori del luogo. I missionari, le operatrici e operatori pastorali delle 50 Comunità cattoliche italiane in Germania presenti al convegno e la significativa delegazione tedesca non conoscevamo la Chiesa in uscita di Sicilia; ma non solo, il Convegno è stato un’opportunità per conoscere meglio noi stessi e prendere maggior consapevolezza delle realtà in cui operiamo. Il Convegno nazionale aveva per tema “Lontano da casa, essere a casa. Ovunque tu vada la Chiesa è con te”.
Discorso di apertura di don Gregorio Milone, delegato nazionale comunità e missioni cattoliche italiane in Germania:
Molti si chiederanno perché abbiamo pensato e deciso di organizzare un Convegno in Sicilia, nella città di Palermo. La risposta a questa domanda porta un luogo ed una data: Roma, dal 29 novembre al 2 dicembre 2022. La fondazione Migrantes organizzava in quei giorni il consueto corso di pastorale migratoria e invitava me, come nuovo Delegato nazionale della Germania nel pomeriggio del 1° dicembre, a parlare ai presenti della mia esperienza pastorale e della situazione attuale delle comunità italiane presenti in Germania. Vai al discorso cliccando qui
La regione ecclesiastica di Sicilia che ci ha ospitato è la seconda più grande dopo quella del Triveneto. Ci sono 1.767 parrocchie e 3.195 presbiteri. In Germania invece ci sono 83 comunità di lingua italiana, guidate da 71 missionari, religiosi e diocesani; ci sono poi quattro diaconi, dieci religiose, 25 collaboratori e collaboratrici pastorali con titoli teologici, assunti dalle diocesi. I cattolici italiani in Germania sono 580.679 su 3.445.996 cattolici di altra madrelingua e rappresentano il secondo gruppo linguistico in Germania dopo i polacchi (1.191.028) (Fonte DBK 2023). Ma il Convegno ha voluto essere un’occasione per tessere legami di collaborazione con la Chiesa siciliana, nella speranza che possano concretizzarsi con accordi di invio di missionari dalla Sicilia alla Germania (si legga il discorso introduttivo del delegato don Gregorio Milone a pag. 18). A questa esplicita richiesta, mons. Antonino Raspanti, presidente della CESi e vescovo di Monreale, che da seminarista è stato a Offenbach e a Münster, ha accolto questo desiderio riconoscendo il bisogno di “seguire la nostra gente”.
Al Convegno svoltosi al Saracen Hotel nel palermitano hanno partecipato circa 150 persone, sia dalla Germania che dalla Sicilia; 50 sono state le Comunità cattoliche italiane presenti. Come ha scritto Fernanda Di Monte, inviata per Famiglia Cristiana:
“Il convegno è iniziato di proposito il 3 ottobre, per ricordare i 10 anni (2013) dalla strage, al largo di Lampedusa dove morirono 368 persone, provenienti dall’Africa, dall’Asia. Un dolore che non diminuisce e a cui si sono aggiunte altre vittime, 27.000 in dieci anni e più di 2.000 in questo anno”. https://www.delegazione-mci.de/convegno-nazionale-delle-missioni-comunita-cattoliche-italiane-in-germania/
Ciascuna giornata si è aperta con le lodi mattutine e una breve riflessione dei vescovi e arcivescovi siciliani: Guglielmo Giombanco (diocesi di Patti), Pietro Maria Fragnelli (diocesi di Trapani), Alessandro Damiano (arcidiocesi di Agrigento), Rosario Gisana (diocesi di Piazza Armerina). Le quattro giornate di lavoro hanno articolato il tema del convegno. Nella prima giornata, Storia e storie di mobilità italiana, il presidente della regione Sicilia, Renato Schifani, ha ricordato la tragedia di Lampedusa (2013) e l’impegno per i migranti di fratel Biagio Conte, scomparso lo scorso anno; l’assessore al comune di Palermo, Maurizio Carta, ha ricordato, citando l’etnologa Margaret Mead, che il prendersi cura è il primo segno di civiltà umana. Delfina Licata, operatrice socio pastorale e curatrice del RIM (Rapporto Italiani nel Mondo), nonché coorganizzatrice del Convegno, ed Edith Pichler, docente di sociologia delle migrazioni a Potsdam, hanno tracciato alcune coordinate sulla storia recente della mobilità italiana.
Solo nel 1975 il flusso di chi entrava in Italia ha cominciato a essere superiore rispetto a quello in uscita (Licata). A partire dagli anni ’90, col crescere dell’identità europea, le capitali europee diventano meta della giovane mobilità italiana (Pichler). Tre storie biografiche di siciliani in Germania, Daniela di Benedetto (Comites Monaco), Alessandro Bellardita (giudice penale a Karlsruhe e collaboratore CdI) e Vincenzo Mancuso (ortopedico, chirurgo) hanno aiutato a riflettere sulle ragioni di vivere non nella terra di origine. Suor Giuliana Bosini, superiora provinciale suore scalabriniane in Europa, per molti anni vicino agli italiani di Ludwigsburg, ha sottolineato l’esperienza positiva con la Chiesa in Germania: una Chiesa accogliente aperta al discorso delle donne e che dà spazio al femminile.
La seconda giornata era dedicata al dialogo fra chiesa in Germania e in Italia, con i rappresentanti della Chiesa tedesca per le comunità di altra madrelingua, con la Migrantes e i molti interventi del “pubblico”; c’erano il vescovo ausiliare di Friburgo, Peter Birkhofer, nonché membro della Commissione per le Migrazioni della DBK, il direttore nazionale della pastorale per stranieri, Lukas Schreiber, don Giampaolo Dehm, incaricato diocesano (Fulda), Sebastian Schwertfeger, vice referente diocesano (Berlino), entrambi per le comunità di altra madrelingua. Hanno dialogato con l’arcivescovo Gian Carlo Perego (Ferrara e Comacchio), presidente della Fondazione Migrantes, con mons. Pierpaolo Felicolo, direttore Migrantes. Molti gli interventi del “pubblico” (operatori e operatrici pastorali delle cci) che con le loro domande e i loro interventi hanno favorito un dibattito aperto e costruttivo che ha fatto conoscere più da vicino ai “tedeschi” la realtà delle comunità cattoliche italiane.
Leoluca Orlando, ex sindaco di Palermo, è arrivato nella seconda giornata. Il suo impegno contro la mafia ha radici nel suo cattolicesimo sociale. Ha parlato di una Palermo capace di accoglienza, come il ristorante etnico Moltivolti, dove lavorano giovani, uomini e donne provenienti da dieci Paesi del mondo, ma soprattutto, lavorano in modo dignitoso e sicuro, con un contratto. La Chiesa di Sicilia è vicina a realtà come queste e la sera abbiamo cenato da loro.
Nella terza giornata “Vivere uno spazio condiviso, con il cuore in Sicilia e i piedi in Germania”, Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, ha detto che se la fede non è più un fattore culturale e di società, proprio per questo la Chiesa è chiamata a riscoprire la sua missione di fede, di spiritualità la quale dà idee e contenuti per aiutare a vivere il presente. Grazia Messina, direttrice del Museo Etneo delle Migrazioni di Giarre, citando struggenti fonti orali di storie di emigrazione antiche ma universali, ha parlato dell’approccio contemporaneo alla storia dell’emigrazione che tiene conto di microstorie e di fonti orali. Su politiche sociali e del lavoro in Sicilia era l’intervento di Saverino Richiusa, Regione Sicilia, su associazionismo quello di Angelo Lauricella, presidente Usef, unione siciliani emigrati e famiglie. Dalla Germania, Pino Tabbì, presidente di ACLI Germania, è intervenuto sulle problematiche legate alla migrazione e sul supporto ACLI per chi arriva in Germania; Luciana Degano Kieser, psichiatra a Berlino, ha riferito sui disagi psichici e sull’incidenza di alcune malattie in chi ha un background di emigrazione. Il convegno poi ha dato spazio a un gemellaggio storico e forse unico nel suo caso, quello fra Mirabella Imbaccari e Calw (diocesi di Rottenburg/Stuttgart), dove vivono migliaia di mirabellesi. C’erano il sindaco di Mirabella, Giovanni Ferro, il parroco Marco Casella, e don Marek Kluk, responsabile della comunità di Calw.
Nella quarta e ultima giornata c’è stato il discorso conclusivo del delegato, don Gregorio Milone sulla realtà delle cci in Germania, a cui è seguito il video Siciliani in Germania da lui ideato. Santino Tornesi, direttore regionale Migrantes Sicilia e coorganizzatore del Convegno ha parlato di periferia come luogo di rinascita, dove la Chiesa è volto accogliente e profetico. Occorre mettere al centro la persona, ritornare alla chiesa primitiva e alle scritture, è stato il suo impulso condiviso. Sono seguite le testimonianze di siciliani che lavorano nelle cci: l’appassionato intervento di don Arcangelo Biondo, missionario guanelliano a Pforzheim, di frate Maurizio Luparello, della fraternità francescana di Betania ad Aschaffenburg, di Alda Gravina, responsabile di comunità a Villingen-Singen.
Il Convegno ha arricchito la Chiesa siciliana, ha detto in conclusione l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, mentre Pierpaolo Felicolo, direttore generale Migrantes, a cui sono state affidate le conclusioni ha parlato di impegno a fare, a mantenere i legami creati, a essere un’unica Chiesa missionaria. Tutte le giornate di convegno sono proseguite con celebrazioni eucaristiche nelle cattedrali di Monreale con il vescovo Gualtiero Sacchi, di Palermo con l’arcivescovo Corrado Lorefice, nella parrocchia di Brancaccio con l’omelia di Pierpaolo Felicolo e infine nella cattedrale di Cefalù con il vescovo Giuseppe Marciante.
Ci sono state le visite sui luoghi di don Pino Puglisi a Brancaccio, al quartiere di Danisinni e di Ballarò. Il Convegno nazionale è stato luogo di incontro e di conoscenza reciproca. La Sicilia è anche terra di immigrazione e la Chiesa è vicina ai migranti con le cappellanie di molti gruppi linguistici ed etnici.
I bambini giocano davanti alla casa di don Pino Puglisi
Il Convegno nazionale ci ha portato a conoscere realtà ecclesiali della Sicilia. Fra queste la casa del beato Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio a Palermo, dove visse, operò e fu assassinato dalla mafia. Nel cortile del caseggiato, che poteva diventare un triste parcheggio, scorrazzano bambini e ragazzini. Il sorriso di don Pino si allarga su questi giochi. La forza del suo servizio per i deboli ed emarginati è fuoco che illumina e scalda. Brancaccio è un quartiere povero, di degrado sociale, di disoccupazione, di abbandono scolastico e quindi, a forte rischio di entrare nel circuito della malavita mafiosa. Qui visse don Pino Puglisi fino al 2003, quando il 15 settembre, giorno del suo compleanno, fu freddato da due sicari mafiosi davanti alla sua porta di casa. Nel cortile una croce segna oggi il punto dove cadde colpito a morte e l’esposizione con le foto della visita di papa Francesco sottolineano che la vita di don Pino è testimonianza del Vangelo e Chiesa “ospedale da campo”, secondo un’immagine cara al papa. La sua casa, i suoi libri, i suoi semplici e decorosi mobili ci avvicinano allo stile di vita di don Puglisi; l’appartamento accanto al suo è diventato il centro di accoglienza Padre Nostro, da lui voluto. Volontari portano avanti tutto questo. Molti dei suoi progetti, che non ha potuto realizzare perché stroncato dall’ignobile mano della mafia, sono stati realizzati postumi, e non per esaudire postumi desideri, ma per il riconoscimento che un centro sportivo per ragazzi, un centro di accoglienza per carcerati che non hanno nessuno da cui andare nei giorni di libera uscita, sono spazi di umanità, dai quali scaturisce altra umanità in un contagio fecondo. Don Pino Puglisi è morto con il sorriso sulle labbra, lo hanno detto i suoi sicari. Questo sorriso ha portato uno di loro al pentimento.
Chiesa di Sicilia: Danisinni e la vita dignitosa che portano i frati
Danisinni è un quartiere di Palermo, appena fuori le mura della città, centrale ma isolato. C’è una strada che porta dentro a Danisinni, ma questa strada non porta altrove, non attraversa il quartiere. È come una sacca, una zona depressionaria per morfologia del territorio ma anche di isolamento e degrado sociale. C’è un fiume che scorre sotterraneo creando un microclima che rende i terreni fertili e abbassa la temperatura è di un grado rispetto al resto di Palermo. A Danisinni c’è un avamposto di umanità e di speranza, sono i frati Cappuccini che con la loro attiva presenza portano vita, sono un sostegno per la gente del quartiere. La strada che porta fino alla piazza con la chiesa parrocchiale costeggia un campo coltivato a ortaggi. I frutti di questa terra e il ricavato dalla loro vendita servono al sostentamento di quelle famiglie disagiate che la lavorano. I Cappuccini, racconta frate Mauro, hanno finanziato gli attrezzi per lavorare la terra. Procediamo lungo la strada e sembra di inoltrarci in un paesaggio fuori dal tempo. Sulla piazza nella zona più alta di questa depressione, sorge la chiesa di Sant’Agnese su uno spuntone di roccia, un tempo roccaforte della dominazione araba di questo luogo e che ha dato il nome al quartiere. Si dice che l’emiro arabo Abu Sa’id (916) governatore di Palermo fece costruire qui la sua dimora chiamandola con il nome della figlia Aynsyndi (si veda www.balarm.it). Raggiungiamo la piazza, due ragazzine su uno scooter ci guardano con curiosità e simpatia. “Qui vogliamo riaprire l’asilo nido”, prosegue frate Mauro, “qui l’abbandono scolastico è molto alto”. Partire dall’asilo per favorire la socializzazione è fondamentale. Accanto alla chiesa si entra nello spazio della parrocchia (vedi foto) con un giardino di ulivi e una fattoria. Sulla destra, sulla parete esterna della chiesa, un murales ci ricorda che il pane spezzato all’eucarestia continua fuori, ogni giorno, con ogni fratello e sorella, la Chiesa in uscita, appunto. Lì ci accolgono donne e uomini delle cappellanie etniche di Palermo. Loro ci offrono ristoro coi sapori delle loro terre. Riceviamo il cibo da loro, uomini e donne e giovani che hanno trovato prospettive di vita e futuro a Palermo. Le vite si intrecciano, i discorsi si mescolano. Una ragazzina di origine africana chiede a una signora siciliana: “Ma quando vieni a fare i compiti con me?”. È una festa di sapori, colori sotto il cielo nell’ancora estiva serata palermitana. La signora siciliana è un’insegnante, sale sul palco a moderare il gruppo etnico nei canti trascinando anche noi nei canti. A Danisinni dove i frati e le persone di buona volontà ridanno vita e dignità si vede la strada della Chiesa: comunità cattoliche di fratellanza, di gioia nella condivisione, uomini e donne di origini diverse, uniti alla vita nuova del vangelo.