Sfide e opportunità per le comunità di altre lingue e riti
Sebastian Schwertfeger è vice capo del settore Pastorale dell’arcidiocesi di Berlino. Ha partecipato come relatore al Convegno Nazionale della Delegazione a Palermo, lo scorso ottobre. È uno degli organizzatori e relatori del corso base su cura pastorale per credenti di altre lingue e riti che si è tenuto a Fulda lo scorso gennaio. Questo articolo è stato tradotto dal tedesco da Paola Colombo. Sotto la versione originale in tedesco.
- di Sebastian Schwertfeger
Gli anni ‘10 e ‘20 sono stati e sono inequivocabilmente anni impegnativi per la Chiesa cattolica in Germania. Quasi nessun altro periodo, a partire dal Concilio Vaticano II è stato e continua a essere caratterizzato da processi di trasformazione come questo. Se si associa il termine “Chiesa cattolica” a questi anni, vengono in mente parole come studi sugli abusi, cambio di papa, percorso sinodale, diminuzione del numero di cattolici e così via. Il cambiamento di peso della Chiesa cattolica in Germania è chiaramente evidente. Contemporaneamente in molte (arci)diocesi sono in corso processi pastorali che stanno cambiando strutture che sono care e apprezzate. Tuttavia anche questi processi sono espressione inequivocabile di questa Chiesa in trasformazione, perché a prescindere da come vengono chiamati, hanno un comune denominatore: sono una reazione al calo del numero di fedeli, a una flessibilizzazione del legame con la Chiesa, e sono una risposta anche alla carenza di personale qualificato (preti, laiche e laici, personale amministrativo), riguardano lo sviluppo immobiliare e nuove (più grandi) strutture parrocchiali.
Tuttavia, se si crede alle statistiche, un gruppo di cattolici in Germania sembra sfidare questi sviluppi. Si tratta delle cosiddette comunità di altre lingue e riti, che comprendono anche le comunità italiane. Per decenni si è usato il termine “comunità di altra madrelingua” per descriverle. Il termine è culturalmente insensibile. Non tutti i parrocchiani hanno come lingua madre l’inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese, l’italiano, ecc.
In queste parrocchie, il “vecchio” mondo cattolico sembra essere ancora “in ordine”, senza alcun dubbio: Le funzioni domenicali sono ben frequentate e le offerte culturali vengono accolte in gran numero. Ma è proprio così e quali effetti si possono osservare?
La migrazione fa parte della Germania. La grave carenza di manodopera era stata compensata con il reclutamento di personale dall’estero, iniziata a metà degli anni Cinquanta. Diversi accordi bilaterali portarono a un aumento del movimento migratorio. Sebbene nei contratti fosse stato concordato un principio di rotazione, molti lavoratori migranti sono rimasti. Perché non si dovrebbe rimanere nel Paese che si è contribuito a costruire? Se le prospettive sono un soggiorno permanente, si è restii a rimanere da soli. Così negli anni ‘70 c’è stato un forte ricongiungimento familiare.
Quando le persone migrano, portano con sé un intero pacchetto di “arredi interiori”.
Oltre alla propria personalità, plasmata dalle esperienze biografiche, le persone portano con sé anche la lingua, le tradizioni/abitudini nazionali e gli stili di vita religiosi.
Poiché la ricerca di manodopera si è inizialmente concentrata in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, l’essere cattolici faceva parte di quel bagaglio. Il numero particolarmente elevato di persone, trasferite dall’estero, ha impattato anche sulla struttura delle parrocchie. Questo afflusso ha comportato (e continua a comportare) una responsabilità pastorale per le diocesi. Il Sinodo congiunto delle diocesi della Repubblica federale di Germania – il cosiddetto Sinodo di Würzburg – ha aperto la strada a un approccio sensibile alle migrazioni. Già nel 1976 si scriveva: “Per i lavoratori stranieri e le loro famiglie che avevano stretti contatti con la Chiesa nel loro Paese d’origine, le nuove condizioni di vita e le diverse forme di vita ecclesiale presentano molti ostacoli che rendono difficile vivere la loro fede nella nuova situazione. La chiesa locale deve quindi offrire loro tutto l’aiuto di cui hanno bisogno per poter far fronte alle esigenze poste alla loro fede qui”.
Dopo quasi cinquant’anni non è cambiata la missione di offrire una casa nella Chiesa alle persone provenienti da altre nazioni.
In Germania ci sono circa 450 comunità di altre lingue e riti, per un totale di oltre 3,5 milioni di fedeli. Si tratta di quasi il 16% dei cattolici in Germania. Negli ultimi dieci anni il loro numero è rimasto relativamente stabile, in controtendenza rispetto all’andamento nella Chiesa in Germania. Se, ipotizziamo, la tendenza a uscire dalla Chiesa continuerà nei prossimi anni, ma i numeri dei fedeli di altre lingue e riti rimarranno stabili, crescerà la loro percentuale sul numero totale dei cattolici. Si può ipotizzare che questo effetto sarà tuttavia solo temporaneo, a meno che non si verifichi un nuovo movimento migratorio dai Paesi a maggioranza cattolica romana.
E le comunità di altri riti e nazioni devono affrontare ulteriori sfide: anche nelle comunità di altre lingue si avverte un problema generazionale. Mentre per i nonni e i genitori le comunità erano ancora una parte importante del sentirsi a casa in un Paese straniero, i giovani stanno perdendo il loro legame sia con il paese di origine della famiglia che con la chiesa. In molte comunità si sentono le voci rassegnate perché la generazione più giovane non parla quasi più la lingua d’origine dei genitori. È inoltre evidente che alcune comunità stanno invecchiando, una tendenza, che si accentuerà nei prossimi anni. L’incertezza nell’offerta di sacerdoti dal Paese d’origine e l’assottigliamento della generazione più giovane porteranno alla contrazione di comunità, un tempo forti.
Queste sfide sono comuni alla “classica parrocchia di lingua tedesca”. Pertanto, è ancora più necessario avvicinarsi e organizzare insieme il lavoro pastorale. Le parrocchie di altre lingue e riti non sono solo luoghi di vita ecclesiale, ma luoghi di organizzazione pastorale nelle parrocchie e nelle diocesi.
Questo sviluppo, che richiede il coraggio di aprirsi, non deve bloccarsi davanti alla preparazione comune per ricevere i sacramenti. Battesimo, prima comunione e cresima non sono sacramenti di una sola nazione, ma portano alla comunione nella Chiesa universale. Questo, tuttavia, non significa ignorare le rispettive tradizioni religiose. Si tratta piuttosto di capire come le tradizioni religiose possano arricchirsi reciprocamente e addirittura possano contribuire a una maggiore comprensione religiosa. E poiché, come sappiamo, l’amore non conosce confini, la cooperazione tra comunità di altre lingue e riti con le parrocchie locali può arricchire la preparazione al matrimonio.
Lo stesso vale per i carismi. Non sono esclusivi di una comunità ecclesiale, di una nazione o di un gruppo linguistico. Servono a costruire la Chiesa nel suo insieme. Prendersi cura dei poveri, dei malati e delle persone sole è un compito di tutti.
Si dovrebbero promuovere punti di contatto tra le comunità di altre lingue e riti e le parrocchie per permettere di organizzare insieme il lavoro pastorale. Ad esempio, attraverso viaggi comuni per i giovani, cori internazionali o la celebrazione congiunta di feste nell’anno ecclesiastico.
Le (arci)diocesi e le associazioni possono dare il buon esempio promuovendo la visibilità e la partecipazione delle comunità di altre lingue e riti. Finora non esiste un’associazione giovanile che rappresenti le comunità di altre lingue e riti, né i giovani di queste comunità sono significativamente rappresentati nelle organizzazioni giovanili. Oppure esiste un’associazione di giovani cattolici italiani in Germania?
La diversità culturale fa parte della natura della Chiesa. Questa diversità culturale deve riflettersi anche nel personale dei ministeri pastorali stessi, il che non riguarda solo i sacerdoti, ma anche altre professioni.
La sfida del cambiamento nella Chiesa cattolica in Germania, descritta all’inizio, offre l’opportunità di una comunione interculturale contemporanea attraverso la partecipazione attiva di comunità di altre lingue e riti, che rende la Chiesa universale una realtà. Tuttavia, ciò richiede coraggio e la consapevolezza della necessità di uscire dalla nicchia pastorale a cui ci siamo abituati. È come alzarsi al mattino: Chi, per comodità, usa ripetutamente la funzione snooze della sveglia, per alzarsi più tardi, non deve poi sorprendersi se finisce per correre dietro all’autobus. Le parrocchie hanno bisogno di questo coraggio di mettersi in cammino proprio come le comunità di altre lingue e riti. Quando si tratta di partire e di arrivare in un mondo nuovo, i membri di altre lingue e riti hanno un vantaggio in termini di esperienza, che può essere utile.
Originaltext
Kirche ohne Grenzen – Grenzenlos Kirche
Herausforderungen und Chancen der Gemeinden anderer Sprachen und Riten
Unverkennbar waren und sind die 2010 und 2020 Jahre für die katholische Kirche in Deutschland herausfordernde Jahre. Wohl in kaum einer anderen Zeit nach dem II. Vatikanischen Konzil war und ist sie von Transformationsprozessen so durchzogen, wie in dieser Zeit. Assoziiert man für diese Jahre den Begriff „katholische Kirche“, so fallen Schlagworte wie Missbrauchsstudien, Papstwechsel, Synodaler Weg, schrumpfende Mitgliederzahlen und so weiter. Der Bedeutungswandel der katholischen Kirche in Deutschland wird einem deutlich vor Augen geführt. Parallel dazu durchlaufen viele (Erz)Diözesen Pastoralprozesse, die liebgewonnenen Strukturen verändern. Diese Prozessen sind ebenfalls ein unverkennbarer Ausdruck dieser sich wandelnden Kirche, denn egal welchen Titel sie tragen, die Eckpunkte sind identisch: Reaktion auf den Rückgang der Mitgliederzahlen, Flexibilisierung der Kirchenbindung, Kompensation des Fachkräftemangels (Priester, Laiinnen und Laien, Verwaltungspersonal), Immobilienentwicklung und neue (größere) Zuschnitte von Pfarreien.
Eine Gruppe an Katholikinnen und Katholiken in Deutschland scheint jedoch – glaubt man den Statistiken – diesen Entwicklungen zu trotzen. Es sind die sogenannten Gemeinden anderer Sprachen und Riten, wozu auch die Italienischen Gemeinden zählen. Über Jahrzehnte hat sich der Begriff „Muttersprachliche Gemeinden“ dafür etabliert. Der Begriff ist kulturell unsensibel. Nicht jedes Gemeindemitglied hat Englisch, Französisch, Spanisch, Portugiesisch, Italienisch usw. als Muttersprache.
In diesen Gemeinden scheint die „alte“ katholische Welt noch unhinterfragt „in Ordnung“ zu sein: Die Sonntagsgottesdienste sind gut besucht und kulturelle Angebote werden zahlreich wahrgenommen. Aber ist dem so und welche Effekte sind zu beobachten?
Ein Blick zurück
Migration gehört zu Deutschland. Bezogen auf die Zeit nach dem Zweiten Weltkrieg, setzen spätestens seit Mitte der 1950iger und 1960iger Jahre Arbeitsmigrationsbewegungen ein. Der starke Mangel an Arbeitskräften wurde durch ein Anwerben von zupackenden Händen aus dem Ausland kompensiert. Mehrere Anwerbevereinbarungen führten zu einem Anwachsen der Migrationsbewegung. Zwar war ein Rotationsprinzip in den Verträgen vereinbart, das vorsah, dass Arbeiter nach zwei Jahren in die Heimat zurückkehren, aber die Praxis sah anders aus. Viele Arbeitsmigranten blieben. Denn das Rotationsprinzip bedeutet auch, dass neue Arbeitskräfte auch immer wieder neu angelernt werden mussten. Und warum sollte man nicht in dem Land bleiben, das man mit aufgebaut hat? Wenn die eigene Perspektive nicht nur zwei Jahre in einem fremden Land bedeutet, sondern sich ein dauerhaftes Bleiben abzeichnet, möchte man nur ungern allein bleiben. So gab es in den 1970iger Jahren eine starke Bewegung des Nachzugs von Familien.
Menschen bringen mit ihrer Migration ein ganzes Bündel an innerem Mobiliar mit in die neue Heimat. Neben der eigenen Persönlichkeit, die durch biographische Erlebnisse geprägt ist, sind Sprache, nationale Traditionen/Gewohnheiten und religiöse Lebensweisen mit im Gepäck.
Da sich das Anwerben von Arbeitskräften zunächst, neben der Türkei, auf die Länder Italien, Spanien, Griechenland, Portugal und das ehemalige Jugoslawien bezog, war besonders auch das Katholisch-sein im Gepäck. Das hatte auch Auswirkungen auf die Mitgliederstruktur in den Pfarreien, in deren Gebiet besonders viele Menschen aus dem Ausland zuzogen. So wundert es beispielsweise nicht, dass aufgrund der stark vertretenden Autoindustrie rund um Stuttgart dort der Anteil an Katholikinnen und Katholiken aus dem südeuropäischen Ausland signifikant hoch ist. Waren doch in der Automobilindustrie besonders viele sogenannte „Gastarbeiter“ tätig.
Aus diesem Zuzug ergab (und ergibt) sich eine pastorale Verantwortung für die Diözesen. Wegweisend für eine migrationssensible Haltung war die Gemeinsame Synode der Bistümer in der Bundesrepublik Deutschland – die sogenannte Würzburger Synode. Bereits 1976 wurde dabei festgestellt:
„Für die ausländischen Arbeitnehmer und ihre Familien, die in der Heimat engen Kontakt zur Kirche hatten, liegen in den neuen Lebensverhältnissen und den andersartigen Formen des kirchlichen Lebens manche Hindernisse, die es ihnen erschweren, auch in der neuen Situation ihren Glauben zu leben. Die Ortskirche muss ihnen daher alle jene Hilfen anbieten, die sie befähigen, den hier an ihren Glauben gestellten Anforderungen gewachsen zu sein.“
Die Würzburger Synode liegt zwar schon fast fünfzig Jahre zurück, geändert hat sich jedoch nichts am Auftrag, Menschen anderer Nationen auch kirchlich eine Heimat zu bieten.
In Deutschland bestehen rund 450 Gemeinden anderer Sprachen und Riten, zu denen über 3,5 Millionen Mitglieder gehören. Das sind rund 16 Prozent der Katholikinnen und Katholiken in Deutschland. Ihre Mitgliederzahlen sind über die letzten 10 Jahre verhältnismäßig stabil geblieben. Damit gehen sie derzeit gegen den Trend der Kirchenmitgliedsentwicklung. Wenn man nun annimmt, dass sich der Trend der Austritte in den nächsten Jahren fortsetzt, die Mitgliedszahlen der Gemeinden anderer Sprachen und Riten jedoch stabil bleiben, wird ihr Anteil in der Gesamtmitgliederzahl wachsen. Es ist anzunehmen, dass dieser Effekt jedoch nur vorübergehend sein wird, sollte nicht eine erneute Migrationsbewegung aus vorwiegend römisch-katholisch geprägten Ländern einsetzten.
Und weiteren Hausforderungen müssen sich Gemeinden anderer Riten und Nationen stellen: Ein Generationenproblem ist auch in Gemeinden anderer Sprachen zu spüren. Waren für die Großeltern und Eltern die Gemeinden noch wichtiger Teil von Heimat in der Fremde, geht jungen Menschen sowohl der Bezug zur Heimat der Familie als auch zur Kirche verloren. In vielen Gemeinden anderer Sprache sind resignierte Stimmen zu hören, dass die jugendliche Generation die Heimatsprache der Eltern kaum noch spricht. Zudem wird erkennbar, dass die Gemeinden anderer Sprache teilweise überaltern. Diese demographische Entwicklung wird sich in den nächsten Jahren noch verschärfen. Eine unsichere priesterliche Versorgung aus der Heimat und eine sich ausdünnende Nachwuchsgeneration werden zum Schrumpfen von ehemals starken Gemeinden führen.
Dies Herausforderungen eint diese Gemeinden mit der „klassischen deutschsprachigen Pfarrei“. Daher wird es umso mehr Zeit, aufeinander zuzugehen und gemeinsam Pastoral zu gestalten. Gemeinden anderer Sprachen und Riten sind eben nicht nur Orte Kirchen Lebens, sondern pastorale Gestalter in Pfarreien und Diözesen .
Diese Entwicklung, die Mut zum Sich-öffnen abverlangt, darf auch vor der gemeinsamen Vorbereitung des Empfangs der Sakramente nicht Halt machen. Taufe, Erstkommunion und Firmung sind keine Sakramente einer Nation, sondern führen zur Gemeinschaft in der universellen Kirche. Das bedeutet jedoch keinesfalls, die jeweiligen religiösen Traditionen zu ignorieren. Vielmehr geht es darum, wie sich religiöse Traditionen gegenseitig bereichern können und dadurch sogar ein Mehr an religiösem Verstehen ermöglicht wird. Und da die Liebe bekanntlich keine Grenzen kennt, kann die Zusammenarbeit der Gemeinden anderer Sprachen und Riten mit den Ortspfarreien eine Bereicherung der Ehevorbereitung werden.
Ebenso verhält es sich mit dem Einbringen der eigenen Charismen. Sie sind nicht exklusiv für eine Gemeinde oder für eine Nation bzw. Sprachgruppe. Sie dienen zum Aufbau der Kirche in ihrer Gesamtheit. Die Sorge um Arme, Kranke und Einsame ist eine Aufgabe von allen.
Zwischen den Gemeinden anderer Sprachen und Riten und den Pfarreien sind Berührungspunkte zu fördern, die eine gemeinsame Gestaltung der Pastoral ermöglichen. Sei es bspw. durch gemeinsame Jugendfahrten, internationale Chöre oder das gemeinsame Feiern von Festen im Kirchenjahr.
Die (Erz)Diözesen aber auch Verbände können dabei mit gutem Beispiel voran gehen, indem sie die Sichtbarkeit und Partizipation der Gemeinden anderer Sprachen und Riten fördern. So gibt es bisher weder einen Jugendverband, der die Gemeinden anderer Sprachen und Riten repräsentiert noch sind Jugendlichen aus diesen Gemeinden signifikant in den Jugendverbänden vertreten. Oder gibt es in Deutschland einen Verband Italienischer Katholischer Jugendlicher?
Kulturelle Vielfalt gehört zum Wesen der Kirche. Diese Kulturelle Vielfalt muss sich auch in der personellen Besetzung der pastoralen Dienste selbst widerspiegeln, was nicht nur Priester meint, sondern auch andere Berufsgruppen.
Die eingangs beschrieben Herausforderung des Wandels der Katholischen Kirche in Deutschland bietet durch die aktive Mitgestaltung der Gemeinden anderer Sprachen und Riten die Chance für eine zeitgemäße interkulturelle Communio, die Weltkirche konkret werden lässt. Dazu braucht es jedoch Mut und die Einsicht in die Notwendigkeit, aus der liebgewonnen pastoralen Nische herauszukommen. Es ist so, wie beim morgendlichen Aufstehen: Wer aus Bequemlichkeit sich mehrmals der Schlummerfunktion des Weckers hingibt, muss sich nicht wundern, wenn man dem Bus hinterherläuft. Diesen Mut des Aufbruchs brauchen also Pfarreien genauso wie die Gemeinden anderer Sprachen und Riten. Bei den Themen Aufbruch und Ankommen in einer neuen Welt, haben die Mitglieder anderer Sprachen und Riten einen Erfahrungsvorsprung, der hilfreich sein kann.