Benvenuti a don Marco D’Orio e don Nicola Moles

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Campane Glocken
Campane, foto simbolica ©Momentmal auf Pixabay

Don Marco D’Orio e don Nicola Moles sono arrivati da pochi rispettivamente nelle comunità di Arnsberg-Neheim e di Villingen-Schwenningen. Si trovano a fronteggiare situazioni completamente diverse con il comune denominatore della pandemia che rende tutto più complicato. Diamo loro il benvenuto.

Paola Colombo

Don Marco D’Orio: la vocazione in Germania e i profumi di Maria

Nato e cresciuto a Ischia, don Marco prima di diventare sacerdote, ha fatto il cuoco e ha vissuto alcuni anni in Germania. È sacerdote dal 2014.

Don Marco d’Orio, missionario di Arnsber-Neheim

La Germania è stata importante per la sua vocazione. Perché?
Sono stato in passato quattro o cinque anni in Germania, prima a Königstein nel Taunus, vicino a Francoforte e poi sono sceso a Rosenheim in Baviera e là ho fatto un po’ di tutto. La mia vocazione è nata in una chiesa tedesca. Ero ateo e facevo una vita un po’ sbalestrata, poi negli ultimi tempi in Germania mi sono sentito di andare in una chiesa tedesca. Non capivo nulla e mi chiedevo: “Ma come? Sono da tanto tempo in Germania e non capisco una parola?”. Poi piano piano ho cominciato a capire. Tornato in Italia ho frequentato un gruppo di preghiera e sono entrato in seminario.

Una volta diventato sacerdote desiderava tornare in Germania?

Avevo voglia di tornare in Germania. Da seminarista ero stato inviato per un paio di mesi a Rosenheim nella missione di padre Giacinto. In seguito dopo un periodo di discernimento con il mio vescovo abbiamo deciso per la Germania, un po’ perché conoscevo la lingua ma soprattutto per ricambiare questa mia vocazione, stare qui per gli italiani, aiutarli a inserirsi, perché molte volte gli italiani arrivano in Germania e non sanno nulla.

Don Marco, Lei è arrivato il 29 gennaio di quest’anno in una missione, quella di Arnsberg-Neheim, che praticamente non esisteva più e che Lei piano piano sta ricostituendo dal nulla. Che cosa ha trovato?

Quasi niente. Mi è stato vicino è il decano, Hubertus Böttcher Propst che mi ha trovato la casa, parla un po’ italiano e mi ha suggerito di prendere contatto con la ex segretaria, in pensione. Poi mi sono di aiuto don Marcin di Paderborn e don Angelo di Wuppertal, mio compagno di seminario. Sto cercando di mettere delle basi per la missione ad Arnsberg. Proprio nei giorni scorsi con la diocesi abbiamo visitato una chiesa con locali attigui e stiamo valutando, in accordo con il parroco tedesco, se si possano usare per la missione. Sotto la chiesa inoltre c’è una cripta dove si può dire messa anche per poche persone. La chiesa è usata dai tedeschi, l’idea sarebbe quella di fare delle cose insieme, italiani e tedeschi perché ci sono delle belle sale lì, un salone, una cucina.

Come fa a prendere contatto con gli italiani per ricostruire la comunità?

Non è facile perché non c’è tutto questo passaparola fra gli italiani. Ci sono tanti impedimenti per via della legge sulla privacy. Fortunatamente la ex segretaria della missione mi ha messo in contatto con persone che frequentavano la missione. Le ho chiamate, con loro grande sorpresa. Inoltre prenderò contatto anche con gli altri decani per concordarmi e poter dire le messe nei paesi vicini. È importante che gli italiani sappiamo che nel loro paese, una volta al mese c’è la messa. Andando in giro nei paesini vicini, lascio avvisi per far sapere che c’è un sacerdote italiano. Ad Arnsberg ci sono pochissimi italiani, sono invece a Neheim e a Amt Hüsten, dove si è sviluppata la zona commerciale e industriale. Sono abituato all’isola, dove per muoverti devi aspettare l’aliscafo, il traghetto, mentre qui è facile spostarsi.

Ripartire da zero e in tempo di pandemia, don Marco sta costruendo con passione e generosità la comunità…  e trova il tempo di fare le zeppole per i vicini di casa.

Sono tedeschi e sono molti disponibili. Ho fatto loro una sorpresa portando le zeppole per san Giuseppe. Mi piace avere i contatti con le persone, fare una breve visita a casa, anche se adesso non è possibile per via della pandemia. Con troppo internet e troppi social si perdono i contatti umani.

Qual è la sua idea di comunità italiana?

È bello poter avere la nostra messa in italiano ma viviamo in un contesto, quello tedesco, che bisogna tener presente e fare delle cose insieme. La parrocchia è la fontana del villaggio, diceva papa Giovanni XXIII, dove tutti vengono ad attingere, ho questa idea. Proprio perché siamo cattolici, universali, dobbiamo prendere anche dai tedeschi qualcosa di bello. Ricordo che quando feci l’esperienza a Rosenheim, era la Festa della Madonna Assunta e dei Kräuter, delle erbe. C’erano molte persone che facevano dei mazzetti con i fiori del loro giardino e li portavano in chiesa, profumandola. La tradizione popolare vuole che la Madonna, assunta in cielo, abbia lasciato una scia di profumi di fiori ed erbe. Mi portai questa usanza in Italia: i profumi di Maria.


Don Nicola Moles: è il tipo di esperienza che desidero vivere adesso

Nato a Tolve (Potenza) don Nicola Moles è stato parroco di Pietragalla, segretario arcivescovile nel 2007 e direttore della Caritas diocesana. Dal 2016 è stato parroco presso a Pietraportosa (Potenza).

Don Nicola Moles, missionario di Villingen-Schwenningen

Don Nicola, arrivare in Germania in pandemia non l’ha certo aiutata ad ambientarsi rapidamente. Che difficoltà ha avuto?

Be‘, dal mio arrivo in Germania lo scorso novembre ho dovuto, innanzitutto, osservare un periodo di quarantena di circa undici giorni, durante i quali non mi è stato fatto mancare nulla. Ho trovato una casa calda e ben arredata e il frigorifero pieno. Naturalmente, non ho potuto vedere nessuno, in quei giorni, così ho approfittato per pregare e per seguire in TV gli aggiornamenti sulla pandemia. 

Come è stato accolto dalla comunità di Villingen-Schwenningen?

L’accoglienza è stata ottima. Ho conosciuto delle persone disponibili e generose che, una volta terminato il periodo di quarantena, ci hanno tenuto ad organizzare in mio onore una piccola festicciola.

Lei sta studiando il tedesco per essere inserito pienamente nella vita della comunità e della parrocchia. Com’è l’impatto con la lingua?

Sin da metà dicembre, sto seguendo un corso online per familiarizzare con il tedesco. Quella germanica è una lingua bella e affascinante. Purtroppo, anche difficile. A livello di grammatica ho riscontrato delle analogie col greco classico che studiai al liceo. Quella tedesca è una società multietnica e multiculturale, ad esempio, ci sono tantissimi turchi dove vivo adesso. Ebbene, il tedesco che viene parlato a Villingen-Schwenningen non è un unico idioma poiché risente delle più svariate inflessioni linguistiche. È come avere a che fare con tanti, differenti dialetti. Per fortuna, il linguaggio del cuore è universale, e fino ad ora sono sempre riuscito a capire e a farmi capire.

Lei è di grande aiuto a Don Mimmo. Come è scandita la sua giornata?

Il lavoro che Don Mimmo ha portato avanti in questi anni è stato egregio. Quando sono arrivato, ho trovato una missione molto ben avviata. Durante la settimana, le mie giornate si assomigliano l’una alle altre. Dedico la maggior parte del mio tempo allo studio della lingua e alla preghiera. Nel fine settimana, invece, mi metto a disposizione della missione. Celebro messa regolarmente, cercando di essere il più comprensibile possibile. Necessariamente, le omelie devono essere semplici poiché la comunità italiana di Villingen-Schwenningen ha perso confidenza, negli anni, con la lingua italiana. Stiamo infatti parlando di persone che si sono trasferite in Germania 30/40 anni fa; e i loro figli, nati nel frattempo, sono tedeschi a tutti gli effetti, e della nostra lingua conoscono poco o nulla. Inoltre nei fine settimana ci sono numerosi incontri di formazione pastorale. Sempre opportuni e proficui, devo dire. 

Quali saranno i suoi prossimi impegni?

Per prima cosa, è necessario che quest’incubo finisca. Una volta che saremo usciti dalla morsa della pandemia, provvederemo a dare alla missione un nuovo impulso, soprattutto sotto l’aspetto della formazione. Don Mimmo fa tanto. Le comunità di Villingen-Schwenningen e di Singen, in termini di formazione pastorale, sono ben più avanti rispetto a quelle di altri posti. Stiamo parlando, infatti, di una missione grande ed estesa, che copre un territorio molto vasto. Io spero, in futuro, di poter contribuire a portare una maggiore assistenza spirituale dove c’è più bisogno.

Che differenze ci sono fra la pastorale in una comunità in Italia e una italiana in Germania?

Dal punto di vista dell’approccio, nessuna. Dal punto di vista pratico, notevoli. Una cosa è gestire una piccola parrocchia in un territorio delimitato e circoscritto; altra cosa è gestire una missione che copre, come dicevo prima, uno spazio estremamente ampio, arrivando persino ai confini con la Svizzera. È necessario spostarsi, interagire con un numero di persone maggiore. È una pastorale dinamica, ma sapevo perfettamente a cosa sarei andato incontro e le dico di più: era il tipo di esperienza che desideravo vivere quando sono partito dall’Italia e che desidero vivere adesso. Quando avrò preso dimestichezza con la lingua tedesca, e quando il maledetto Covid-19 si sarà fatto da parte, sarò pronto a dare il mio contributo alla causa del Signore.