Lidia Maggi: Che bella l’opportunità di incontrarci anche tra diverse tradizioni religiose, da diverse confessioni che bello inserirsi nel lavoro di una chiesa sorella che prende spazi di discorso e di decisione. Don Luciano Locatelli: L’ecumenismo è la costruzione di quella convivialità delle differenze, dove la differenza non allontana, non divide ma arricchisce e viene messa sul tavolo come ricchezza.
Paola Colombo
“Alle radici della fede. Esperienza di ecumenismo in Italia” è l’incontro organizzato dalla Delegazione e dall’Udep nell’ambito del terzo convegno ecumenico, Ökumenischer Kirchentag (ÖKT, 13-16 maggio). Ospiti dell’incontro in videoconferenza sono stati dall’Italia, Lidia Maggi, pastora battista e il sacerdote don Luciano Locatelli, e don Giovanni Ferro da Colonia. Qui riproponiamo alcuni passaggi rimandando al canale youtube del Corriere d’Italia per la visione integrale dell’incontro.
Lidia Maggi e don Luciano Locatelli hanno proposto nei mesi scorsi un itinerario di conoscenza, lettura e attualizzazione del vangelo di Marco, con una serie di incontri online, dal titolo: “Daccapo. Marco, il Vangelo dei ripetenti”, ancora visibili su youtube. Ha organizzato questi incontri l’associazione laica “Liberare l’uomo” di Treviso, attenta a percorsi di ricerca e di umanità aventi come centro il Vangelo. Lidia e don Luciano, appartengono a due chiese, cattolica e riformata, ma si incontrano sulla Parola, la radice comune della fede cristiana. Questa è esperienza di ecumenismo. Questo incontro sulla Parola è un’esigenza che viene dalle persone?
Lidia: Che bella l’opportunità di incontrarci anche tra diverse tradizioni religiose, da diverse confessioni che bello inserirsi nel lavoro di una chiesa sorella che prende spazi di discorso e di decisione. (…) Pensiamo spesso che l’ecumenismo sia un altro impegno nell’agenda ecclesiale e credo che bisognerebbe riflettere sul fatto che l’ecumenismo è davvero un’esperienza spirituale e sapienziale perché è quello sguardo che ti fa scoprire che non siamo figlie uniche, che ci sono chiese sorelle e che ti ha permesso di imparare quella grammatica della riconciliazione che noi adesso possiamo mettere in atto in un mondo lacerato da personalismi, conflitti e divisioni. Questa di ritrovarci intorno alla Parola è un’esigenza che viene dagli altri, dalle altre? Non lo so ma è un’esigenza che viene dal cuore di ogni credente che ha fatto un incontro serio con Cristo e che ha imparato che la fede è esperienza personale ma mai personalistica e che c’è bisogno di altre e di altri per celebrare quel Dio arcobaleno, quel Dio colorato, quel Dio plurale che ha creato una chiesa plurale e ricca di doni.
Don Luciano: Aggiungerei a quello che ha detto Lidia e come diceva don Tonino Bello che l’ecumenismo è la costruzione di quella convivialità delle differenze, dove la differenza non allontana, non divide ma arricchisce e viene messa sul tavolo come ricchezza. (…) ed è un’esigenza che nasce da chi si interroga sulla Parola. Una Parola che unisce fa aprire gli sguardi, allarga gli orizzonti, determina percorsi di ricerca senza paure della diversità. È quello che in questo momento ci limita tanto, la paura della diversità, della differenza. Questo per la Parola è terribile, perché se non si affronta la Parola con libertà di cuore, la Parola non libera, non può liberare chi non vuole essere liberato. Con Lidia faccio questa bellissima esperienza di condivisione della Parola, dove al di là delle differenze dal punto di vista ecclesiologico, trovo veramente tantissime cose in comune, perché ciò che ci accomuna è la stessa passione per un Uomo che è Parola, che ci ha lasciato una Parola, sempre nuova, non fissata nel tempo, una Parola che ha bisogno di essere attualizzata incarnata in ogni tempo e ogni giorno da sguardi femminili, maschili di chiese diverse, o meglio di comunità che vivono e respirano dentro contesti differenti la stessa Parola.
Qui in Germania, terra evangelica e cattolica, Lei, don Giovanni, nelle comunità cattoliche qui in Germania, dove ha svolto e svolge il suo servizio c’è interesse per l’ecumenismo?
Don Giovanni: Ho avuto la fortuna di vivere in una regione pluriculturale e questo mi ha attrezzato a essere curiosissimo delle differenze di ciò che era confinante a me. Per cui appena arrivato in Germania tanti anni fa ho scoperto con grande gioia la ricchezza del protestantesimo, ciò che poteva essere un demone nella cultura dei seminari per me fu una scoperta bellissima e ho imparato a essere cristiano grazie ai “santi” della chiesa evangelica. Il mio “santo”, il mio teologo è Dietrich Bonhoeffer. (…) Al nostro popolo risulta difficile entrare in sintonia (con la realtà della chiesa evangelica, n.d.r.), i nostri italiani sentono che c’è qualcosa di diverso ma nulla sanno e nulla dice la realtà pastorale. Ma la realtà dei fatti è galoppante e velocissima. Ormai le storie d’amore non hanno confine di confessione (…). Il mondo ci chiede di essere ecumenici: davanti a una ragazza, figlia di pastori evangelici, innamorata di un ragazzo italiano che di Gesù Cristo non sa quasi niente però il suo eroe è padre Pio, come pastore mi trovo di fronte a dei confronti culturali, di metodo e psicologici avventurosi ma anche interessantissimi. L’ecumenismo cammina anche su questi sentieri molti modesti e non solo nelle alte quote dei teologi che oggi si capiscono meglio di sessant’anni fa.
Lidia Maggi, pastora battista, attiva nella provincia di Varese, a Luino, e a Zurigo, svolge un compito di pastorato itinerante. Si occupa di formazione biblica ed evangelizzazione. È autrice di numerosi scritti sulla Bibbia ed è impegnata nel dialogo ecumenico e interreligioso, e collabora con diverse riviste evangeliche e cattoliche. Nella sua casa, Lidia insieme al marito, come coppia pastorale, si occupano di piccole ospitalità per persone in difficoltà o che semplicemente desiderano un confronto.
Don Luciano Locatelli, dopo dieci trascorsi in Africa, precisamente in Congo, è stato parroco in un paesino della diocesi di Bergamo. Attualmente svolge il suo servizio presso la Caritas diocesana nel Centro di primo ascolto, immerso nelle povertà, e nell’emarginazione; frequenta anche un centro per minori terminali, come dice, la parte più difficile del suo servizio. Don Luciano è anche relatore in convegni, incontri e ha recentemente collaborato a una traduzione e commento dei vangeli sinottici (Marco, Luca e Matteo).
Don Giovanni Ferro, è nato e cresciuto in Friuli, terra di confine con Austria e Slovenia, e aperta su quattro culture. È sacerdote dal ‘68, epoca segnata da grandi confronti culturali, anche nella chiesa. Ha studiato psicologia a Roma, Padova e infine a Bochum, nel Ruhrgebiet. In Germania ha fatto la scelta di vita nel mondo della gente d’emigrazione, intensificando gradualmente l’attenzione sul mondo delle Chiese sorelle protestanti.
Ecumene viene dal greco e significa la terra abitata. Significa specificatamente la riunione della cristianità nella chiesa di Gesù Cristo, ma significa anche un’intesa a livello mondiale tra culture, religioni, mentalità, ideologie diverse, soprattutto se guardiamo alle importanti assemblee ecumeniche degli ultimi decenni, Basilea 1989, Graz 1997.
Lidia, lei si occupa di dialogo interreligioso ed ecumenico, incontra più aperture o resistenze?
Lidia: È sempre un bilancio a partita doppia quando si parla dell’incontro. Siamo immersi in un clima culturale dove le identità vengono esasperate e anche nelle nostre chiese respiriamo questi climi identitari che ci portano ad irrigidirci ad avere paura dell’altro. (…) Quel dono di papa Francesco dell’ultima enciclica “Fratelli tutti” è un richiamo alla fratellanza universale tutta da costruire. La pandemia ha messo una pausa in un problema sociale che ritornerà appena saremo chiamati a relazionare senza più la paura del contagio. (…) Ecco l’ecumenismo è questo momento in cui possiamo veramente fare un esorcismo e liberarci da questi demoni mondani. Pensiamo che la secolarizzazione sia la libertà delle donne, la libertà sessuale, la vera secolarizzazione sono questi demoni identitari che entrano persino in quel luogo dove ci è stato detto “ma tra voi non sia così”. (…)
Don Luciano, nel suo lavoro quotidiano fra gli esclusi, vive la realtà degli emarginati e molti sono i migranti di diversa tradizione religiosa. Si può parlare di pratica di ecumenismo?
Don luciano: Più che di ecumenismo direi di dialogo interreligioso. La maggior parte delle persone che incontro nel mio lavoro sono di altra espressione religiosa, islamica, indù, sikh. Viviamo questo contesto anche religioso oltre che culturale che ci confronta con questo mondo. Una delle risposte che attuiamo nei nostri centri, per sensibilità e rispetto per queste tradizioni religiose differenti, è dare per esempio spazio per chi vuole celebrare il ramadan, per la preghiera notturna (…). Mi ricordo inoltre in uno dei centri di accoglienza dove ho vissuto che avevamo creato dei momenti di preghiera condivisa attraverso le varie confessioni presenti. (…) Non abbiamo trovato mai quelle espressioni che possono anche essere violente e rifiutanti soprattutto da parte dei musulmani. (…) È per questo che dedico molto tempo a far risplendere la parola liberante del vangelo spesso mal compresa perché diventa spesso fonte di identità che chiude che racchiude senza lasciare spazio all’altro. (…)
Sente questo senso di esclusione delle comunità che tendono a coltivare il proprio orticello?
Don Giovanni: Avevo visto che l’ecumenismo stava marciando bene con una grande scoperta sessant’anni fa, posso pensare a papa Giovanni e all’atmosfera del Concilio vaticano secondo, si diceva: “noi, protestanti, ortodossi cattolici, dobbiamo ritrovare ciò che ci unisce”. Siamo andati oltre, l’ho visto qui in Germania e abbiamo imparato a guardarci con quello che ci disunisce. Qui ci vuole un salto mistico, un salto spirituale un salto teologico: imparare a guardarci a volerci bene con ciò che ci divide. Imparare a volerci bene quando io posso dire a te il mio peccato e aiuto te a riconoscere il tuo peccato e viceversa. Siamo peccatori insieme. (…)
Poche settimane fa è scomparso il grande teologo svizzero, Hans Küng che scriveva: “Un’epoca mondiale che diversamente dalle precedenti è plasmata da politica mondiale, tecnologia mondiale, economia mondiale e civilizzazione mondiale, necessita di un’etica mondiale.” Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” al paragrafo 138 scrive: “Abbiamo bisogno che un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico che incrementi e orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti i popoli”. Mi sembrano pensieri molto simili. Che cosa ne pensate?
Lidia: Non si può non pensare che il mondo è la casa comune e questo abbiamo cercato di dirlo insieme nella prima assemblea ecumenica a Basilea (1989) “Giustizia, pace, integrità della creazione”. Che bello vedere nella “Laudato si’” alcuni temi siano stati ripresi da papa Francesco in questa lettera che ha riposto la questione del nostro rapporto con la terra e poi del nostro rapporto con il prossimo nella enciclica successiva. (…) Molto interessante quanto don Giovanni ci diceva sulla responsabilità, assumersi la responsabilità dell’altro anche quando l’altro non ti piace, scoprire anche Caino è tuo fratello e che Dio ti chiede conto di Caino. Stare con l’altro anche quando diventa difficile stare con l’altro, perché l’altro non ti conferma perché l’altro ti fa resistenza. Sono grammatiche che noi impariamo dal privato per allargare in cerchi concentrici l’orizzonte. Voglio dire che non si arriva a un’etica mondiale e a una giurisdizione mondiale dei diritti senza fare un lavoro su di sé. Sono cresciuta dentro una tradizione riformata ma dentro una chiesa di minoranza in Italia per cui sono stata preparatissima nel dire perché non sono cattolica, (…) al punto da non sapere bene perché ero evangelica così preoccupata di questa identità reattiva. Questa sindrome della minoranza di sentirmi sempre un po’ accerchiata dal gigante cattolico mi portava a essere sempre difensiva e polemica ma non ero libera perché non avevo la capacità di chiedermi quali erano le mie priorità, non ero in grado di fare un’agenda se non in funzione dell’altro e dell’altra. (…) Allora partire da noi partire dal vincere questa sindrome della minoranza perché riguarda tutti noi cristiani oggi. Ormai la cristianità è finita, rimane questo cristianesimo ecumenico, che è esperienza di minoranza che ci porta a fare conti con le nostre debolezze che possono diventare una ricchezza da donare all’altro se siamo in grado di non difenderci perché siamo accerchiati dall’altro e interrogarci profondamente a partire dalle nostre debolezze su qual è l’agenda che il Signore ci detta, che cosa dice a me il Signore oggi in questa realtà? (…) Una chiesa più fragile ma più accogliente.
Don Luciano: Riprenderei anche papa Paolo VI che precedette Francesco con la “Populorum Progressio” ed è una fonte ricchissima di intuizioni che toccava in nuce temi che Hans Küng ha toccato nei suoi scritti e nel suo percorso religioso. Una chiesa fragile perché riconosce la sua fragilità da una parte, un’esperienza non di super umanità, di superreligione e che tocca anche il fatto che uno dei demoni, per stare sul tema di Lidia che condivido assolutissimamente, il tema della religione come ideologia che diventa strumento per schiacciare, per imporsi. (…) Il percorso da fare è passare dalla religione alla fede. La fede è qualcosa di fragile, un tesoro in vasi di argilla che è esposto a tutti i venti e tutte le tempeste ma non per imporsi quanto per far brillare quella luce di umanità. Il cristianesimo non è altro nelle sue varie espressioni che la ripresa del progetto originale della creazione dove il creatore dice “facciamo insieme questo mondo dove possiamo vivere insieme da uomini”, è la realizzazione dell’umanità perfetta. Il padre eterno alla fine ci ha detto “Vi do un modello”, il modello è Gesù, un uomo che ci mostra qual è il senso ultimo dell’umanità. Direi che in Italia siamo forse un po’ indietro perché da questo punto di vista la chiesa tende sempre a essere frammischiata di potere che poi suscita posizioni identitarie e quindi l’aspetto della fede tante volte viene messo sotto terra per privilegiare l’aspetto della religione nelle sue varie forme. E una chiesa italiana che ancora non è fragile perché non riesce a declinarsi al femminile è una chiesa forte perché è essenzialmente maschile. (…) Una certa modalità di chiesa è destinata a morire, volenti o nolenti anche solo numericamente. Se stiamo solo a guardare e ad aspettare non saremo in grado quando sarà il momento di dare un’alternativa valida e quindi è un kairos quello che stiamo vivendo, o ci siamo dentro oppure resteremo tagliati fuori noi, non gli altri.
Don Giovanni, la chiesa tedesca sta vivendo con il Synodaler Weg un momento estremamente delicato e mostra tutta la sua la fragilità.
Don Giovanni: In Germania viviamo un momento difficilissimo (…) il cammino sinodale dimostra una inquietudine, va incontro a rischi, spaccherà l’episcopato tedesco in due grandi parti e fa scrivere all’Italia articoli continui che leggo con sofferenza che parlano con arroganza e pressapochismi dicendo “i tedeschi cattolici sono scismatici”. State molto attenti, direi, a non parlare in modo così caricaturale della Germania, non è colto, non è rispettoso. La Germania si trova in un guado difficilissimo, ma per fortuna qui in Germania ci siamo svegliati già da un po’ di tempo capendo che il nostro mondo sta mutando.
Cito te, don Luciano “dovremmo imparare a fare il salto dalla religione alla fede” qui Bonhoeffer aveva intuito i rischi, lui martire del nazismo aveva capito che la grande frontiera di tutte le chiese cristiane sarebbe stata quella di comprendere un cristianesimo non sacrale, religioso ma un cristianesimo che fosse fede. La chiesa non avrà più il monopolio culturale e allora lì dovremo aver salvato in tempo la nostra fede perché lì la nostra religione non sarà più utilizzabile dalle generazioni giovani.
Vai all’articolo introduttivo dell’incontro ecumenico del 13 maggio 2021.