Mons. Perego – Come è cambiato il mondo dei migranti in questi dieci anni

149

Dieci anni fa, esattamente il 21 novembre 2013 veniva presentata la Carta di Siena –  Chiesa e Istituzioni per una città dell’integrazione, documento propositivo frutto della riflessione condivisa tra Istituzioni politiche, accademiche e religiose sulle tematiche dell’immigrazione straniera in Italia. Lo scorso 6 febbraio, a dieci anni dalla presentazione della Carta di Siena, si è svolto nella città toscana, su iniziativa della Fondazione Migrantes, dell’Università per Stranieri di Siena, un incontro sul tema „La Carta di Siena, 10 anni dopo Siena e l’accoglienza. Rigenerare la città“. Trovate alcuni contributi al link: https://www.migrantes.it/chiesa-e-istituzioni-civili-per-una-citta-dellintegrazione-la-carta-di-siena/

Qui proponiamo l’intervento „La città mobile: come è cambiato il mondo dei migranti in questi dieci anni“ di mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente CEMI e della Fondazione Migrantes, che ripercorre la legislazione italiana sul flusso di migranti in Italia, mette in luce un aspetto di cui il nostro Paese è ancora poco consapevole ovvero che l’Italia è tornata ed essere in questi ultimi dieci anni un Paese di emigrazione  più che di immigrazione, e presenta alcune riflessioni sulla città mobile, che fa della mobilità umana una risorsa per tutti, una risorsa per il bene comune. (Paola Colombo) 

***

LA CITTÀ MOBILE:
COME È CAMBIATO IL MONDO DEI MIGRANTI IN QUESTI DIECI ANNI

La Carta di Siena, 10 anni dopo Siena, 6 febbraio 2024

S.E. Mons. Gian Carlo Perego Arcivescovo di Ferrara-Comacchio Presidente CEMi e Migrantes

Dieci anni fa, la Carta di Siena, frutto di una riflessione tra Chiesa e Istituzioni, sottolineava “una città diversa”, per la presenza ormai in città di persone e famiglie, lavoratori e studenti provenienti da almeno 200 nazionalità diverse, con l’impegno di cammini di integrazione. Una diversità nella città che sembrava essere ormai continuamente in crescita.

Dieci anni dopo, a motivo anche della crisi economica, della pandemia, riconosciamo che la nostra città non è cresciuta nel numero degli immigrati: Siena è passata ad avere dai 5.059 ai 5.135 immigrati: meno di 100 migranti in più; come l’Italia non è cresciuta di molto in dieci anni nel numero di persone immigrate, passando da 4.922.000 a 5.050.000 immigrati. Siena, come tutti le città e i comuni d’Italia è diventata, però, “una città mobile”, dove arrivano e partono persone, dove si fermano persone per un periodo di lavoro, studio o per turismo, con una crescita significativa di emigrati. Infatti, in Italia dieci anni fa gli emigrati erano circa 4.500.000 (4.482.115) e oggi sono quasi 1milione e mezzo in più: cioè 5.933.000. Gli emigranti di Siena erano 5.450 dieci anni fa e oggi sono 10.031, con una crescita dell’84%: si parte dall’Italia e da Siena più che si arriva in Italia e a Siena. Questa mobilità non è più dalla campagna alla città, ma dalla città al mondo e dal mondo alla città. Fermando la nostra attenzione agli immigrati, la presenza vede la provenienza da 200 nazionalità diverse nelle nostre città – 130 nazionalità a Siena (l’8,5% della popolazione, a Siena il 9,7%), che sta cambiando i luoghi della nostra vita quotidiana: il lavoro (10% di lavoratori immigrati e il 12,4% delle nuove assunzioni: il 69,5% dei lavoratori domestici, il 39,2% dei lavoratori agricoli, il 35,7% nel turismo); cambia la scuola (circa l’11,3% degli studenti sono stranieri), la famiglia (9,5% delle famiglie), con numerosi matrimoni misti, con la nascita da uno o due genitori stranieri già del 20% di figli; nuove imprese etniche, con migliaia di imprenditori, commercianti, artigiani), con una crescita significativa di presenze anche in tutte le nostra città, nei paesi, nelle nostre comunità parrocchiali e nel mondo dell’associazionismo. In sintesi, in dieci anni l’Italia è cambiata grazie ai migranti, ma ha perso capacità attrattiva ed è ritornata ad essere soprattutto un Paese di emigranti.

Una città mobile da governare

Questa mobilità va governata non negata o fermata, perché con il sostegno alle famiglie per la natalità e all’occupazione, è uno dei fattori fondamentali per limitare il crollo demografico (il ‘debito demografico’) – particolarmente grave a Siena dove a fronte di 5,8 nascite ci sono 14,7 morti, quasi tre volte i morti rispetto ai nati –, ma anche ‘il debito economico’ che rischia di indebolire la sicurezza sociale. In realtà il governo delle migrazioni sia nella prima che nella seconda che nella Terza Repubblica è stato sempre incerto, altalenante, fortemente sollecitato dai fatti emergenziali così da accentuare la sicurezza, fermandosi “sull’albero che cade e non sulla foresta che cresce”, per usare un’immagine proverbiale. Dopo una legge del 1986 (la legge Foschi 943/86), che si accorgeva che l’Italia stava diventando ormai da dieci anni un Paesi di immigrazione, con lavoratori e famiglie, nel 1990 abbiamo la legge Martelli (39/90), la prima legge di ampio respiro che regola anche il fenomeno dei richiedenti asilo e rifugiati oltre che curare per la prima volta processi di integrazione (la didattica interculturale), sollecitata dall’uccisione di Jerry Essan Masslo nelle campagne di Villa Literno, che segnalava i primi gravi germi di razzismo. Tra il ’90 e il 2000 abbiamo il raddoppio degli immigrati in Italia, che passano da 650.000 a 1.3350.000, con gli arrivi dall’Albania e dai Paesi dell’Est. Nel 1995 abbiamo una nuova legge (la legge 489/95), durante il governo Dini, sollecitata dalla lega, che aveva nuove regole restrittive sulle espulsioni e sui ricongiungimenti familiari. Nel 1998 si arriva a una legge organica – la legge Turco-Napolitano, una legge che oltre al contrasto dell’emigrazione, stabiliva i flussi triennali e percorsi realistici di integrazione. Con il nuovo Millennio si raggiungono quasi i 2 milioni di immigrati nel nostro Paese e nel 2002 si arriva alla nuova legge, la legge Bossi-Fini, con una regolarizzazione di 700.000 irregolari, ma un indebolimento delle politiche di integrazione. È la legge che governa ancora, dopo vent’anni, le migrazioni, che nel frattempo hanno visto la presenza oggi di 5 milioni di migranti, oltre 3 milioni in più da quando fu approvata. Nella cosiddetta “Terza Repubblica”, anche a motivo degli sbarchi e della rotta balcanica con l’arrivo di richiedenti asilo e rifugiati si accentua il tema della repressione e della sicurezza, nel 2008 con il pacchetto sicurezza del Ministro Maroni e con i decreti sicurezza di Salvini nel 2018 e 2019 fino alla legge cosiddetta Cutro del 2023, con anche il ritorno ai flussi triennali per 450 lavoratori migranti, mentre cresce l’irregolarità della presenza a oltre 500.000 persone. Unica nota positiva, anche a livello europeo, è la legge Zampa del 2017 che regola l’accoglienza dei minori non accompagnati, anche se non ha ancora modificato la prassi dell’accoglienza. Un Paese muore, un Paese non è attrattivo, un Paese chiede lavoratori e famiglie e il governo di questo Paese risponde con la repressione più che con percorsi inclusivi.

Una città mobile che riconosce la cittadinanza

Quale percorso per governare le migrazioni? Anzitutto in una città mobile conta molto l’estensione e non la limitazione della cittadinanza, cioè della responsabilità sociale e politica. La necessità” di educare alla cittadinanza viene da “una forte tendenza individualistica” che permea la società, che limita l’azione e la dimensione sociale come semplicemente funzionale a degli interessi personali. È la perdita del “bene comune”, dell’“insieme” come fine dell’agire sociale, ma anche la perdita dell’“interesse”, della “passione sociale” come molla dell’azione sociale: e tutto questo indebolisce le relazioni, indebolisce la città. Estraneità ed esclusione riducono un concetto di città che da casa diventa per alcuni solo la tenda; da luogo di partecipazione diventa luogo di lavoro; da luogo di incontro diventa luogo di scontro; da luogo per tutti diventa luogo di alcuni; da luogo di integrazione diventa luogo di esclusione.

Una città mobile da più valore ai beni comuni

La storia cristiana ha sempre pensato la città come luogo e forma di tutela, con una preferenza per i poveri (orfano, vedova, straniero, malato…). L’Ospitium, l’Ospitale, la foresteria, la casa, la scuola, l’officina, l’ambiente/giardino sono i luoghi centrali attorno ai quali cresce la città e crescono gli interessi comuni. Riprendere e riproporre un’idea di città, di cosa sta al centro della città, difronte alla crescita di tentativi di periferizzazione della città, è molto importante oggi. Contro i rischi di un nuovo protezionismo e corporativismo, sia nelle politiche sociali che culturali, siamo chiamati a riaffermare in città l’universalismo di alcuni diritti, con una forte attenzione alla relazione d’aiuto e all’accompagnamento. L’esasperata difesa dell’identità spesso nasconde la difesa di interessi e non aiuta a cogliere la novità, ciò che accade. La pandemia – frutto anche della mobilità sempre maggiore nel mondo – ci ha fatto toccare con mano come la città mobile debba essere capace di cura delle persone. Una nuova cura: che accompagna e non si limita alle prestazioni; che non abbandona; che ricerca e non è ripetitiva; che coinvolge e non separa, che ha riferimenti precisi e quotidiani sul territorio, che valorizza la rete degli incontri, dei legami e non solo dei servizi, dentro una nuova programmazione sociale, sanitaria fortemente integrata e pianificata che evita di costruire nuovi ‘luoghi di cura’ separati, ma abitua tutta la città ad essere un luogo familiare, relazionale, promozionale. In questo senso forse va il piano regolatore urbanistico di una città, che va ripensato sul piano regolatore sociale. La terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico. Nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e create nuove povertà. Già prima di essa il Paese appariva diviso in tre grandi categorie. Una composta da lavoratori di alta qualifica o comunque tutelati e privilegiati che non hanno visto la loro posizione a rischio. Essi hanno potuto continuare a svolgere il loro lavoro a distanza e hanno perfino realizzato dei risparmi avendo ridotto gli spostamenti durante il periodo di restrizioni alla mobilità. Una seconda categoria di lavoratori in settori o attività a forte rischio o comunque con possibilità di azione ridotta è entrata in crisi: commercio, spettacoli, ristorazione, artigiani, servizi vari. L’intervento pubblico sul fronte della cassa integrazione, delle agevolazioni al prestito, dei ristori e della sospensione di pagamenti di rate e obblighi fiscali ha alleviato in parte, ma non del tutto, i problemi di questa categoria. Un terzo gruppo è rappresentato dai disoccupati, dagli inattivi o dai lavoratori migranti irregolari e coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento. Sono gli ultimi, in particolare, ad aver vissuto la situazione più difficile perché fuori dalle reti di protezione ufficiali del welfare.

Una città mobile cura le relazioni

Perché la città mobile non sia fluida, non identificata, occorre costruire in città una nuova relazione diffusa e intelligente, con un’attenzione preferenziale ai più deboli, con un orecchio alle “attese della povera gente”: di chi arriva e rimane ai margini della città; di chi è espulso dalla città, di chi è solo tra le case, di chi abbandona la scuola, di chi ha paura – sia in senso fisico che psichico; di chi non ha famiglia, di chi perde il lavoro, ho coniuga con il lavoro tempi di attesa, di chi lavora irregolarmente ed è schiavo di nuovi meccanismi di caporalato o d’impresa o d’agenzia… Non è sufficiente identificare, conoscere, occorre incontrare e accompagnare per costruire una relazione costruttiva e risolutiva (in termini di promozione, libertà, protezione…). Solo l’incontro aiuta a costruire relazioni che vincono la paura, aprono al confronto, invitano al dialogo. E l’incontro deve valorizzare la famiglia, le nuove generazioni sempre più interculturali e con background migratorio che richiedono protagonismo, cittadinanza e partecipazione. L’incontro deve valorizzare i luoghi a cominciare con lo spazio di vita, il luogo del cuore, la casa, con un nuovo piano di case popolari attento anche ai giovani e alle famiglie migranti. Il nostro patrimonio di case popolari corrisponde al 4% del totale, rispetto alla media del 20% dell’Europa, con un alto tasso tra gli italiani (80%) di abitazioni di proprietà.

Una città mobile sceglie un nuovo modello economico

Una città mobile sceglie un modello nuovo di economia, un’economia circolare. Una nuova economia per la nostra città non potrà sposare il capitalismo emergente e incontrollato, fortemente segnato dalla finanza e meno dal lavoro, più dal consumo di un prodotto che dalla qualità di un prodotto, perché significherebbe arrivare alla negazione della città, quando essa soccombe alla fabbrica, al Mercato e non valorizza le capacità e le responsabilità delle persone, l’originalità del territorio e la qualità e diversità dei suoi prodotti, un’economia circolare e comunitaria, un inserimento lavorativo, e – nel nostro contesto – la coniugazione stretta di lavoro e bellezza, di lavoro e protezione delle persone, di lavoro e tutela dell’ambiente. In questo senso va promosso un modello di sviluppo integrato tra attività economiche, valorizzazione del patrimonio artistico e culturale e del patrimonio paesaggistico, in sinergia anche con le realtà sociali del territorio. Al tempo stesso va rafforzata la consapevolezza degli esiti del nostro lavoro, sui lavoratori, sulla città, sui consumatori che sono nel mondo. Il tema della coniugazione tra bellezza e lavoro rende di particolare importanza la necessità di allargare una collaborazione strategica con alcune città vicine, con una vocazione artistica: penso alle vostre città come Lucca, Firenze, Arezzo. Si costituirebbe con Siena un quadrilatero artistico di grande importanza. Il rapporto lavoro e tutela delle persone deve non abbassare la guardia sulla protezione dei lavoratori, contro ogni forma di sfruttamento lavorativo, ma anche dei consumatori: s’inserisce qui tutto il discorso della qualità delle prestazioni e della qualità dei prodotti. La cura del lavoro e la tutela dei lavoratori devono portare anche a misurarci con la crescente polarizzazione del mondo del lavoro, che frammenta la tradizionale solidarietà tra lavoratori, e a trovare forme innovative che garantiscano la partecipazione e la rappresentanza ai sempre più numerosi lavoratori ingaggiati con le modalità proprie dell’economia informale o della platform economy. La difficoltà di assimilare queste situazioni alle forme “tipiche” di ingaggio lavorativo non può diventare motivo di emarginazione di questi lavoratori dal dialogo sociale, aprendo la porta a nuove forme di sfruttamento.

Una città mobile cura l’ambiente

In ogni città la cura dell’ambiente è una dimensione fondamentale per la vita delle persone. La responsabilità per l’impatto sull’ambiente e la sostenibilità non possono essere concepite come un vincolo esterno, una aggiunta costosa, ma deve essere considerata una componente indispensabile di ogni politica della città e di ogni strategia di impresa a medio-lungo termine, oltre che un terreno di possibili innovazioni. Un discorso questo che non riguarda solo la grande impresa, ma anche le piccole e medie imprese, le imprese agricole, fino ad arrivare agli stili di vita. L’impegno per le comunità energetiche ha un riflesso importante sull’ambiente oltre che essere determinante per contribuire ai consumi delle famiglie più povere. Una città mobile non può perdere l’interesse per la cosa pubblica.

Una città così chiede la partecipazione e la responsabilità di tutti, una nuova coscienza civile per vincere insieme quelli che La Pira e il card. Martini consideravano i mali della città: la violenza, la solitudine, la corruzione. Papa Francesco ci ricorda che questi mali possono essere superati solo attraverso «reti comunitarie» per il cambiamento (cfr. L.S. 219).

Conclusione

La mobilità nella città può diventare una risorsa rigenerativa se viene governata e non abbandonata a sé stessa. Abbandonata a sé stessa è fonte di precarietà, povertà, violenza, solitudine. Governata diventa una dimensione fondamentale della vita della città futura.