Il RIM e gli italiani in Germania

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Videoconferenza RIM Corriere d'Italia
Videoconferenza RIM Corriere d'Italia

Sul canale youtube del Corriere d’Italia è possibile vedere la presentazione del RIM in Germania di martedì 9 febbraio.
Il Corriere d’Italia, in occasione dei suoi 70 anni in collaborazione con la Fondazione Migrantes, ha organizzato la presentazione in Germania del RIM (Rapporto Italiani nel Mondo 2020).

70 anni fa usciva il primo numero del Corriere d’Italia, da sempre vicino agli italiani in Germania, sui temi del lavoro, scuola, politica, rapporti con l’amministrazione pubblica e chiesa. Per fotografare il contesto sociale degli italiani che negli ultimi anni sono venuti in Germania, il Corriere d’Italia si è rivolto allo studio più autorevole, il Rapporto Italiani nel Mondo (RIM). L’Italia ancora oggi è una terra di emigrazione e ogni anno il RIM analizza il fenomeno della mobilità degli italiani nel mondo in maniera accurata e approfondita.

Alcuni spunti usciti dagli interventi dedicati al RIM:

Don Gianni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes: „Cosa ci dice il Signore in questa mobilità crescente?“, „Occorre ripensare il compito delle comunità. Non l’autoconservazione ma la missione della chiesa locale è coniugare unità e diversità“. „Non perdere la fede e la cultura attraverso la lingua“.

Delfina Licata, curatrice del Rapporto Italiani nel Mondo (RIM): „Italiani sono stabilmente in mobilità. Una mobilità precaria, complessa e continua“. „La Germania per il RIM è un laboratorio di mobilità, perché la Germania ha vissuto tutti i tipi di migrazione italiana“. „Non c’è ancora una mobilità di ritorno“.

Edith Pichler, docente di sociologia della migrazione: „Molti giovani partono con poche informazioni sul paese ma con molte illusioni“. „Si è creato un proletariato di servizi, un cosiddetto esercito di riserva che soddisfa una richiesta di manodopera a basso costo“. „Anche le start up attirano ma dietro al concetto di autorealizzazione c’è spesso molta flessibilità e sfruttamento“.


Intervento di don Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes

Anzitutto grazie di questa occasione per rivederci (per ora ancora solo online) e di riflettere insieme a partire dall’ultima edizione – la quindicesima – del nostro RIM, uno strumento prezioso per conoscere e interpretare la mobilità italiana nel mondo. Uno strumento che sta avendo importanti riconoscimenti: quest’anno per la sua presentazione il presidente Mattarella ci ha inviato un bellissimo messaggio e il presidente del consiglio Conte è intervenuto insieme al Cardinal Bassetti con una bella relazione. Sono appena tornato dal Niger e mi ha fatto un enorme piacere, visitando il nostro ambasciatore, vedere sulla sua scrivania il nostro Rapporto. Dunque un grazie a Delfina, che ne è in qualche modo la mamma, e agli altri collaboratori!

Lascio a Delfina il compito di introdurvi nel Rapporto di questo anno, io voglio solo dirvi qualcosa sulla terza parte del Rapporto, che ha lo stesso titolo del convegno che avremmo dovuto celebrare nell’ottobre 2020 e che invece celebreremo nel novembre 2021:

“GLI ITALIANI IN EUROPA E LA MISSIONE CRISTIANA: radici che non si spezzano ma che si allungano ad abbracciare ciò che incontrano”

Si tratta di una novità assoluta nei nostri Rapporti. Abbiamo ritenuto importante che, accanto al contributo di sociologi, storici, economisti ecc, ci fosse anche il contributo di alcuni teologi.

Provare non solo a dare un quadro il più possibile fedele e completo di come cambia la mobilità italiana nel mondo, ma anche a interrogarci su come questa realtà ci interpella, su quello che Dio ci sta dicendo in tutto questo.

È ciò che ripetutamente hanno chiesto gli ultimi pontefici, parlando delle migrazioni come segno dei tempi, e cioè come di una realtà che anzitutto chiede di essere ascoltata e interpretata.

Questa espressione, come sapete, è utilizzata da Gesù nei Vangeli (Lc.12,54-57; Mt.16,2-3). Gesù rimprovera farisei e sadducei perché sanno interpretare i segni atmosferici, ma non sanno, o non vogliono, cogliere il significato di ciò che accade, e giudicare ciò che è giusto. Questa espressione poi è stata ripresa dal Concilio Vaticano II che ha anche indicato alcuni di questi segni dei tempi dove Dio oggi sta operando, come ad esempio l’emancipazione della donna o il protagonismo di nuovi popoli con la fine del colonialismo.

Cosa dunque il Signore ci sta dicendo in questa mobilità crescente, purtroppo molto spesso non scelta ma obbligata? Cosa ci sta dicendo in questa nuova ondata di italiani che arrivano in Germania, un po’ in tutti i paesi? Provo ad accennare una risposta a partire da un passaggio del messaggio di papa Francesco per la GMMR 2014 – è il suo primo messaggio – dove ricorre l’espressione segno dei tempi che ritornerà poi anche nei messaggi del 2017, 2018 e 2019:

“Tra i risultati dei mutamenti moderni, il crescente fenomeno della mobilità umana emerge come un “segno dei tempi”; così l’ha definito il Papa Benedetto XVI. Se da una parte, infatti, le migrazioni denunciano spesso carenze e lacune degli Stati e della Comunità internazionale, dall’altra rivelano anche l’aspirazione dell’umanità a vivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’accoglienza e l’ospitalità che permettano l’equa condivisione dei beni della terra, la tutela e la promozione della dignità e della centralità di ogni essere umano”.

Dunque la realtà delle migrazioni da un lato sono una denuncia, la denuncia di un fallimento dell’Italia e della comunità internazionale. In questi anni in cui ho avuto modo di visitare alcuni paesi di Europa ho avuto modo di toccare con mano il rancore, l’odio/amore di molti giovani italiani che si sono sentiti rifiutati dal loro paese. Le migrazioni sono spesso accompagnate da grandi sofferenze e denunciano un ordine economico ingiusto.

Dall’altro lato esse stanno facendo maturare nell’umanità “l’aspirazione a vivere l’unità nel rispetto delle differenze”. L’incontro con altre culture, con altri popoli, è stata l’occasione per maturare una coscienza più profonda dell’unità del genere umano, e insieme delle differenze che caratterizzano ogni cultura. Forse proprio vivendo in Germania avete preso meglio coscienza del vostro essere italiani.

Nel nostro Rapporto troverete delle osservazioni interessanti ad esempio sulla lingua italiana come lingua di comunione. Le nostre comunità sempre più sono comunità italofone più che italiane, cioè accomunate dalla lingua più che dalla nazionalità. Aiutare a non perdere la lingua madre significa aiutare a non perdere quella fede e quella cultura che fa corpo con essa e che abbiamo ricevuto con essa. Lo ricordava papa Francesco qualche giorno fa parlando all’ufficio catechistico nazionale:

“A me tocca tanto quel passo dei Maccabei, dei sette fratelli (2 Mac 7). Per due o tre volte si dice che la mamma li sosteneva parlando loro in dialetto [“nella lingua dei padri”]. È importante: la vera fede va trasmessa in dialetto. I catechisti devono imparare a trasmetterla in dialetto, cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti. Se non c’è il dialetto, la fede non è tramessa totalmente e bene”.

O su come occorra ripensare le nostre comunità italofone, che a mio avviso non hanno affatto esaurito il loro compito, ma che nel nuovo contesto cosmopolita e secolarizzato dell’Europa devono rinnovarsi profondamente rimettendo al centro non la propria autoconservazione (proteggere l’italianità e la fede cattolica) ma la missione e la costruzione di Chiese locali capaci di coniugare l’unità nella diversità, secondo l’indicazione della Evangelii Gaudium 27:

 Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale».

Occorre dunque non perdere le radici, ma anche evitare che esse ci inchiodino al passato impedendoci di abbracciare il presente. Questo sarà anche il tema del convegno di Novembre, dove abbiamo invitato il Cardinal Hollerich, il Cardinale Arborelius, Mons Kockeroll, e, speriamo, il Santo Padre.

Mi fermo qui, penso di avere già abusato del vostro tempo, e cedo la parola a Delfina che vi introdurrà nel corpo del nostro Rapporto. Grazie

don Giovanni De Robertis, Direttore Generale della Migrantes


Programma della videoconferenza:

  • Introduzione del Direttore Generale della Migrantes don Gianni De Robertis
  • Relazione della curatrice e caporedattrice del RIM, dr.ssa Delfina Licata
  • Intervento della prof.ssa Edith Pichler, coautrice del RIM che da anni segue la realtà tedesca
  • Saluto del Delegato ed editore del CdI p. Tobia Bassanelli
  • Saluto della direttrice del Corriere d’Italia Licia Linardi
  • Domande e dibattito
  • Ore 12.00 conclusioni e fine dei lavori.

Corriere d’Italia
Quando uscì il primo numero si chiamava La Squilla, un periodico nato da un’idea di don Vincenzo Mecheroni e don Aldo Casadei. Oggi a 70 anni il Corriere è l’unico periodico cartaceo in lingua italiana diffuso su tutto il territorio federale. Nonostante l’inserimento degli italiani di seconda, terza, quarta generazione nel tessuto sociale tedesco, il ruolo del Corriere resta l’informazione per i cittadini italiani residenti in Germania, tenuto conto anche dei molti italiani arrivati in Germania negli ultimi anni. Sulla storia del Corriere D’Italia uscirà quest’anno un volume curato da Licia Linardi, direttrice della testata e da Don Silvano Ridolfi, ex Delegato e ex direttore del Corriere d’Italia.

Rapporto italiani nel mondo – RIM

Giunto alla 15esima edizione, il Rapporto italiani nel mondo (RIM), a cura della Fondazione Migrantes, è uno studio approfondito sulla mobilità degli italiani nel mondo. Più di quindici anni fa, l’allora direttore della Migrantes, mons. Luigi Petris, aveva voluto uno studio approfondito dell’emigrazione italiana contemporanea all’estero, perché aveva capito che l’Italia era ancora una terra di emigrazione, quando invece l’attenzione pubblica era rivolta all’immigrazione verso l’Italia. Da allora ogni anno esce il RIM a cui collaborano 700 fra studiosi e autori, in Italia e all’estero. In particolare il Rapporto 2020 ha dedicato uno studio speciale sulle province italiane.
Il Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes studia i fenomeni sociali per poter dare un contributo fattivo ed entrare in contatto con le istituzioni.

Vai all’articolo sulla presentazione del RIM 2020